Recensione: Mirage – A Portrayal of Figures

Di Alessio Gregori - 2 Giugno 2016 - 10:00
Mirage – A Portrayal of Figures
Band: Flaming Row
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2014
Nazione:
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78

I Flaming Row sono un progetto musicale creato nel 2008 dall’artista tedesco Martin Schnella (Steel Protector, Cast In Silence) che coinvolge numerosi musicisti e cantanti (sia maschili che femminili), chiamati di volta in volta a partecipare alla realizzazione delle diverse canzoni. Tra questi è doveroso citare Gary Wehrkamp e Brendt Allman dalla ormai purtroppo inattiva band americana Shadow Gallery oltre che Billy Sherwood (ex-Yes) e  Jimmy Keegan (Spock’s Beard). Fatta questa premessa, A Portrayal of Figures è un concept album uscito nel 2014, forse passato un po’ troppo inosservato all’epoca. La trama è abbastanza complessa: il mondo è assediato da una forza aliena, I Minders . Essi hanno dichiarato guerra alla Terra perché sanno che gli umani distruggeranno presto la “potente equazione ” dello spazio . L’umanità è descritta come intelligente e tecnologicamente avanzata ma incapace di vedere la devastazione che sta provocando . Il “magistrato” ha quindi deciso di annientare l’intera razza umana prima che avidità e ricerca del potere possano possano oltrepassare il proprio pianeta. I Minders decidono allora di inviare tempeste solari devastanti per spegnere tutta la vita sulla Terra . Ma un soldato coraggioso di nome John crede di poter cambiare il corso degli eventi.
Venendo all’aspetto prettamente musicale, quest’opera merita di essere analizzata con molta attenzione perchè abbraccia molti generi ed è veramente ampia e diversificata. La base sulla quale si costruiscono le trame è quella del progressive rock/progressive metal à la Dream Theater/Shadow Gallery tanto per intenderci, ma sarebbe davvero troppo superficiale e scontato classificarla come il solito clone di band più blasonate. Le voci si giocano sempre sul dualismo maschile/femminile dando spessore e profondità alla trama musicale e gli strumenti che entrano in campo sono i più disparati: come in una vera orchestra troviamo violino, flauto, saxofono, pianoforte e fisarmonica. Il risultato è quello di dare all’ascoltatore la sensazione di trovarsi davanti a un lavoro sontuoso, realizzato nei minimi particolari, dal valore artistico autentico e di grande portata.

Vediamo ora nel dettaglio le tracce di questa rock opera. L’album si apre con la splendida e lunga (oltre 16 minuti) “Mirage – A Portrayal Of Figures“, il pezzo che probabilmente meglio incarna lo spirito dell’intero lavoro. Epica, ispirata, esaltante con quel suo alternarsi incessante di stacchi melodici e accelerazioni heavy, rappresenta sicuramente il meglio dei Flaming Row e crea ovviamente fina da subito delle grandi aspettative su tutto quello che verrà. La successiva “Aim L45” inizia sulle note di una chitarra classica per poi svilupparsi su ritmiche un po’ medioevali e folk di tradizione irlandese e così continuerà più o meno fino alla fine, senza però prendere il volo, dando perciò quella strana sensazione che da un momento all’altro debba esplodere in qualche potente riff ma questo purtroppo non accadrà e così lascerà una leggera delusione anche se il ritornello è davvero ben fatto e piacevole. Tutto sommato si tratta di una ballad elegante, forse un po’ troppo lunga. La terza canzone, “Burning Sky” è in un certo senso il singolo, con una durata più fruibile di poco superiore ai 6 minuti. Qui i toni si fanno incalzanti e finalmente ritroviamo lo spirito che aveva animato l’incipit di questo lavoro. Il refrain è accattivante e la ritmica cattura l’attenzione fin da subito. Personalmente ho avuto modo di ascoltarla in auto e devo dire che riesce a trasmettere emozioni intense fin da subito, bella e piacevole, un pezzo da ricordare. “Journey to Afterlife” è più rock n’ roll, con alcuni passaggi che ricordano addirittura i Queen. Si riprenderà nel finale con un gradito ritorno alle ritmiche sincopate più tipicamente progressive. La successiva “Alcatraz” è il pezzo meno convincente, con un giro di basso un po’ blues che smorza i toni verso tonalità leggere e poco emozionanti. La durata è breve, circa 4 minuti, quindi nell’ottica del concept è uno stacco che ci può stare e non fa troppi danni. La successiva “Memento Mori” inizia con un bel ritmo elettronico, la voce femminile è accompagnata in sottofondo da una voce maschile quasi rap per poi sfociare in un refrain di ottima fattura, epico e ispirato. Lo stacco strumentale è notevole e dimostra ancora una volta le capacità tecniche dei Flaming Row. “Pictures“, settimo sigillo di questo lavoro, inizia con toni classici e delicati, si sente l’influenza degli anni ’70. Sembra uscito da un album dei Genesis o degli Yes, capace di emozionare con toni poco heavy tuttavia si sente che alla base un grande lavoro di songwriting e va premiato con i giusti onori perchè è un brano di autentica qualità artistica. L’album si chiude con la lunga “In Appearance“, di oltre 17 minuti. Una bella intro di pianoforte ci introduce alle voci soavi dei cantanti con la solita alternanza ad effetto maschile/femminile e anche qui si sentono richiami ai Seventies. Al quinto minuto troviamo un perfetto stacco strumentale progressive che alza i toni e ovviamente delizia le orecchie dell’ascoltatore. Cori a volontà e l’impressione di un’attenzione maniacale in tutti i passaggi, si tratta perciò della giusta e meritata chiusura per questa rock opera.

In conclusione i Flaming Row si distinguono nel panorama musicale prog per un gusto e una classe sopraffina, alla quale siamo per certi versi poco abituati. Non sono, quindi, un gruppo da ascoltare di fretta ma vanno assaporati e gustati lentamente per scoprirne tutte le sfumature e le particolarità. L’ideale è quello di prendersi il giusto spazio per ascoltarlo, magari facendone un compagno di viaggio per lunghi spostamenti. Il voto finale tiene conto quindi sia dell’elevato spessore artistico e tecnico, ma anche del fatto che non a tutti possa piacere un gusto così ricercato e ricco di particolari. Se siete impazziti per The Astonishing dei Dream Theater, ad esempio, non potrete farvi mancare assolutamente questo lavoro. Viceversa se siete amanti di sonorità più heavy à la Symphony X, potreste trovarli poco immediati e un po’ troppo classici.

 

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