Recensione: Mirror Palace
E questi da dove spuntano? Se lo saranno chiesto in molti dopo avere ascoltato “Mirror Palace”, gemma dai mille riflessi intagliata da una mano, quella degli Oceans of Sadness, per lo più ignota alle platee di appassionati. Almeno finora. Sì, perché se dodici anni di carriera nell’underground fiammingo e una triade di lavori da studio potevano non essere stati sufficienti alla band per conquistarsi le attenzioni del grande pubblico, l’occhio di falco della nostrana Scarlet Records ha saputo riconoscer il talento di questi ragazzi e assicurarsi i loro servigi. Non c’è bisogno di aggiungere che la fiducia è stata pienamente ripagata.
Bando alle ciance: che cosa suonano oggi gli Oceans of Sadness? Difficile dare una risposta univoca. Elementi di musica classica, progressive, jazz, flamenco e persino ragtime – ascoltare “Cruel Sacrifice” per credere – covano entro un guscio metallico plasmato secondo le forme prestabilite dai vari Opeth, Pain of Salvation, Therion, Dimmu Borgir e Paradise Lost. Uno stile tanto eclettico e multiforme impedisce di marchiare il sound di “Mirror Palace” come progressive o gothic o death/doom, avvicinandolo piuttosto – almeno concettualmente – alle proposte di Arcturus, Borknagar, Solefald o Vintersorg. L’approccio sperimentale regna su ogni brano, contaminando persino l’inattesa cover degli Alice in Chains “Them Bones”, perfettamente integrata col repertorio della band. Avvincente e bene articolata, la tracklist si svolge snocciolando perle su perle, colpendo non soltanto per la maturità degli arrangiamenti, ma anche per la continuità del songwriting – non sono in molti a potersi permettere di calare solo nel finale un poker d’assi come quello aperto da “Sheep & Shepherds” e chiuso da “I Know You Know”. Tra i rari, rarissimi aspetti perfettibili può forse segnalarsi il cantato pulito, invero decisamente ruvido e a tratti persino sgraziato, che tende in alcuni punti a ricalcare le linee melodiche di Daniel Gildenlöw, laddove lo screaming (eccellente e forse poco sfruttato) ricorda invece a più riprese lo stile di Mikael Åkerfeldt.
Dal punto di vista strumentale, l’esecuzione è del resto impeccabile: esemplari i cambi di ritmo, sontuose le tastiere, spesso in evidenza grazie a un repertorio pressoché sconfinato. Ma è l’intera macchina musicale a funzionare alla perfezione, coordinando all’unisono gli sforzi dei singoli con la compassata disinvoltura dei veterani. Inutile dunque affaticarsi in infruttuose cacce del pelo nell’uovo. “Mirror Palace” è un calderone zeppo di idee, che si rivolge al metal estremo con quell’approccio istrionico e visionario che all’alba degli anni settanta illuminò la via ai pionieri del prog. Sono dischi come questo ad aprire nuove porte, sono dischi come questo a fare bene alla musica tutta.
Riccardo Angelini
Tracklist:
01 Mould
02 Mirror Palace
03 Cruel Sacrifice
04 Sleeping Dogs
05 Intoxicate Me
06 Them Bones
07 Sheep And Shepherds
08 Pride And Shame
09 Silence Is Gold
10 I Know You Know