Recensione: Mirror [Reissue 2013]
Prosegue con Mirror la fortunata serie di riedizioni remaster su Cd dei lavori passati di Paul Chain da parte della Minotauro/Markuee in formato simil Lp. Gustosissimo, come negli altri casi, il packaging in doppio cartonato di qualità per quanto attiene la confezione, con la costina esterna a mo’ di 33 giri d’antan. Il tutto si completa di una mini cartolina raffigurante Paul Chain all’interno di un cimitero, un flyer apribile a quattro ante che riepiloga copertina di appartenenza e dati anagrafici di ogni singola canzone, un ulteriore custodia per il dischetto fisico e chicca fra le chicche, lo specchio argentato impresso nella cover interna, ovviamente non in vetro ma in matriale cartaceo patinato riflettente quanto basta.
Mirror, originariamente uscito nel 1997, si pone fra Emisphere del 1996 e Sign from Space del 2001, in un periodo nel quale l’artista pesarese si rese foriero di release alternative, split, compilation, live, superando quindi il concetto di classico full length di inediti. Dodici delle tredici tracce contenute risalgono a 7” precedenti, pezzi apparsi in raccolte esterne alla discografia ufficiale e l’unico vero inedito è rappresentato dalla cover di Electric Funeral dei Black Sabbath. Riguardo le annotazioni tecniche fare riferimento alla tracklist in calce alla recensione.
Un disco variegato, drammaticamente arioso, che consente di attraversare idealmente i vari momenti artistici del chitarrista che insieme con Steve Sylvester diede vita al fenomeno Death SS.
Si passa dalla cimiteriale/allucinata The Machine ai riffoni di marca Black Sabbath di Violence of the Sun. Molti, ovviamente, a livello musicale, i riferimenti ai sopramenzionati Death SS, come in Obsession, tratto dal 7” intitolato proprio Mirror del 1989, dal quale la compilation prende la copertina. Stesso discorso per il Violet Theatre (Needful) e ovviamente il classico trademark di Paul Chain (Loveless, Red Light) e l’opener Train of Illusion, episodio in chiaroscuro, ove la marcia in più non è quella, apparentemente scontata, funebre, ma la magia melodica del refrain, ossessivo quanto basta.
Paradise of the Poor, tratto dal 7” Les Temps du Grand Frère, pare un estratto da quel capolavoro di Sergio Leone, musicato magistralmente da Ennio Morricone, quale Per Qualche Dollaro in Più, uno dei più grandi western di sempre, se non addirittura il western per antonomasia, alla faccia degli americani che, appunto, dovettero reinventarsi dopo i kolossal realizzati dal regista romano. Per chi scrive uno dei picchi di Mirror. Rimanendo in ambito cinematografico, impossibile non citare la drammatica Headroom, ipotetica figlia della colonna sonora di un thriller.
Altra, ulteriore chicca, Sangue, con Sandra Silver alla voce: scheggia impazzita all’interno di Mirror, direttamente dai Seventies italiani più cupi e sperimentali. Sulla stessa lunghezza d’onda, in territori lisergici, Luxury. A dimostrazione che Paul alla bisogna sapeva ancora menare come qualche tempo prima, ecco servita Moment of Rage: grande pezzo, veloce, violento, posseduto dal sacro fuoco dell’HM, Angel Witch docet. In chiusura la cover, particolarmente massiccia nei suoni della chitarra, di Electric Funeral dei Black Sabbath, ovviamente interpretata a la Chain dal punto di vista delle liriche.
Da segnalare, all’interno delle tredici tracce, la presenza di personaggi del calibro di Alberto Simonini, Claud Galley, Thomas Hand Chaste, Alexander Scardavian, Baka Bomb, Lux Spitfire, Maury Lion, Red Crotalo, Robert Iacomucci, Alex Di Andrea, Andrea Guidi, Gabriele Percetti, Aldo Polverari, oltre alla sopraccitata Sandra Silver.
Pleonastico sottolineare che La Storia del Metallo Italiano passa anche fra questi solchi.
Stefano “Steven Rich” Ricetti