Recensione: Miss Machine
Hanno esordito in maniera esuberante: qualcuno li ha amati, qualcuno li ha odiati. Di sicuro in pochi li hanno ignorati. Buttarsi nel tentativo di dire qualcosa di completamente nuovo è un’impresa nobile ma estremamente complicata, eppure sembra che i Dillinger Escape Plan ci siano andati piuttosto vicino. Nonostante questo non ho provato particolare simpatia per le soluzioni cervellotiche che li hanno contraddistinti fino a oggi. Mi capita dunque in mano un promozionale da prendere molto con le molle. Quando sto per premere ‘Play’ provo un misto di curiosità e svogliatezza, dando quasi per scontato che mi ritroverò ancora davanti a qualcosa di buono ma insoddisfacente per i miei gusti. Basta il primo ascolto, e posso gettare tutte queste sensazioni alle spalle.
Non fate l’errore di sprecare il primo ascolto. Fate il possibile perchè nulla possa distogliervi dall’attenzione che un lavoro come questo necessita. Dopodichè lasciate che le note scorrano tutto d’un fiato.
Si parte con “Panasonic Youth“, il pezzo che vi illuderà di essere di fronte al proseguimento del discorso iniziato qualche hanno fa. Se sia un bene o un male a voi deciderlo. Le chitarre definiscono riff schizzati, a volte incomprensibili, e la batteria segue a ruota questo incedere sregolato. A fatica si cerca di contenere le innumerevoli influenze; contaminazioni che non hanno paura di sconfinare nell’Hardcore, fino ad arrivare anche in territori che qualche purista additerebbe subito come Nu. Fino a qua in ogni caso il discorso è molto vicino a quello di Calculating Infinity.
In un primo momento “Sunshine The Werewolf” sembrerà confermare l’impressione, eppure è solo questione di pazienza. Perchè da questo punto in poi comincerete a capire quel che ha voluto fare il gruppo con questo lavoro: compiere un viaggio che li porta lontano, dove ben poche band estreme hanno il coraggio di spingersi. Il primo passo è uno stacco dai toni apocalittici: una sorta di quiete, ma in questo caso prima della tempesta…
Senza fare una rassegna di ogni singolo episodio, vi assicuro che da qui in poi ogni secondo può potenzialmente essere fonte di sorprese. Come in “Phone Home“, dove protagonista è un incedere ipnotico, debitore a rock, psichedelia e tutto quanto potete infilare nello spazio che sta fra i due.
Ma le follie proseguono anche con “Setting Fire To Sleeping Giants“, che non teme di risolvere in ritornelli dal cantato melodico particolarmente accattivante, e di far apparire, seppure in maniera molto soft, arrangiamenti tastieristici ed elettronici.
Il culmine lo tocca tuttavia “Unretrofied“, un pezzo che come atmosfere non ha nulla da invidiare alle correnti più moderne di Goth / Rock. Anzi, che forse è proprio da queste che trae la più diretta influenza.
Il tutto, ovviamente, senza scordarsi di miscelare con cura tali passaggi assieme al Death schizoide che li ha resi ben distinguibili.
Questo è quanto apprezzerete (spero) dall’inizio. Proseguire gli ascolti servirà fondamentalmente ad altre due cose. Primo, riuscire ad apprezzare anche i più celati dettagli. Dettagli di cui Miss Machine è pieno, che ne mettono in luce l’infinita cura ricevuta. Particolari che solo un lavoro assieme geniale e curato poteva mettere a punto in maniera così ben definita. Il secondo scopo sarà, ovviamente, godersi a ripetizione la bellezza dell’album. E ne passerà di tempo prima di annoiarsi, perchè questo cd è come una continua scoperta: con ogni ascolto avrete man mano un quadro sempre più chiaro di come certe follie possano essere di una genialità disarmante.
Dopo questo ascolto mi sento in dovere di andare a ripescare i vecchi capitoli del gruppo (incluso l’Ep con Patton, che sicuramente ho liquidato troppo frettolosamente) e prestare maggiore attenzione a quanto han fatto. Per rimanere al presente, in un primo momento avrei voluto rimanere più basso col giudizio; certi ‘voli pindarici’ raffreddano le sensazioni dei migliori passaggi. Ma una cosa che cd come questo mi insegna è proprio che alcuni lavori devono per forza essere considerati in toto, e che alcuni passaggi vanno assimilati al 100% prima di poter essere giudicati. Dunque confermo senza riserve che Miss Machine è uno degli episodi imperdibili di questo 2004, per chiunque abbia la voglia di esplorare territori musicali freschi e tracciati da menti geniali.
Matteo Bovio