Recensione: MK II
Dopo l’uscita dal gruppo di Jorn Lande, seguita a breve distanza da quella di Uli Kusch, nacquero non poche perplessità circa il proseguo artistico di una band che contava ormai nel solo Roland Grapow come esponente di spicco della scena melodic/power metal teutonica.
E’ dunque da apprezzare a priori la caparbietà con cui l’ex Helloween ha continuato a portare avanti il suo progetto, dichiarando fin dal titolo dell’album il nuovo corso che i Masterplan vogliono (devono?) intraprendere.
Pertanto oggi come oggi è quanto mai veritiero parlare dei Masterplan come del progetto personale di Grapow, sebbene ci siano stati – per sua stessa ammissione – apporti esterni ed interni al songwriting; molti dei brani di MK II, più della metà sicuramente, sono palesemente state scritte per l’ugola di Lande. Per questo va fatto un plauso al nuovo frontman, l’ex Riot Mike DiMeo, alle prese con un genere per lui nuovo, e con un progetto accettato più per scommessa personale che per motivi economici.
Il risultato è sorprendentemente positivo, mai mi sarei aspettato di sentire il buon Mike interpretare con tale semplicità il power melodico tipicamente europeo, avvicinandosi spesso in maniera eccezionale, ma mai forzata, all’ex vocalist. C’è da dire, tuttavia, che il paragone tra i due è del tutto fuori luogo: come già detto, Lande avrebbe dalla sua il fatto che i brani fossero stati letteralmente “cuciti” sulla sua timbrica, e, soprattutto, giocherebbe in casa, essendogli il genere così congeniale.
All’altra “new entry”, l’ex batterista dei Rage Mike Terrana, non è richiesto lo stesso adattamento stilistico, ma in ogni caso, da una parte la duttilità di Terrana, dall’altra la sua non estraneità dal genere, contribuiscono ad una prestazione di altissimo livello.
La tracklist si compone di brani killer dall’inconfondibile flavour power – checché ne dica il buon Roland – come il duo iniziale “Phoenix Rising”/”Warriors Cry”, della potente “Keep Me Burning”, della veloce “Watching The World” o dell’omonima “Masterplan” (scritta da Kusch e inevitabilmente finita sull’album), e momenti più radiofonici, rappresentati dall’intenso “singolone” “Lost And Gone” o le ballad “Take Me Over” e “Trust In You”, nonché dai soliti mid-tempo di intermezzo, atti probabilmente a lasciare libero sfogo alla vena interpretativa di DiMeo, e sperimentandone forse le potenzialità in vista dei prossimi passi della neonata line-up: è il caso di “I’m Gonna Win”, con il vocalist assoluto protagonista, e di “Call The Gipsy”, che insieme a “Heart Of Darkness” è sfruttata da Grapow per testare la digeribilità dei fan, con distorsioni ruvide e soluzioni poco convenzionali.
Al pari del paragone tra i due vocalist è impossibile anche il confronto con gli album precedenti; sebbene sia decisamente riconoscibile il trademark che i Masterplan hanno creato con Aeronautics e il debut omonimo, dobbiamo prendere atto dei cambiamenti attuati, che danno effettivamente credito al nuovo percorso intrapreso, e che probabilmente daranno i primi frutti a partire dal prossimo album.
In ogni caso, una riuscita quanto doverosa riprova che la band è viva, vegeta e alquanto agguerrita.
Tracklist:
- Phoenix rising
- Warriors cry
- Lost and gone
- Keep me burning
- Take me over
- I’m gonna win
- Watching the world
- Call the gipsy
- Masterplan
- Enemy
- Heart of darkness