Recensione: MM12-Forward The Future
Tu non sei un essere umano
Che sta vivendo un’esperienza spirituale
Sei un essere spirituale
Che sta vivendo un’esperienza umana
(Wayne W. Dyer)
Avevamo lasciato i Kernel Generation circa un anno fa, elogiandone l’EP di debutto per le sue atmosfere cupe e visionarie. Li ritroviamo oggi forti di un primo full-length che chiude il cerchio e aggiunge quel tocco in più verso una precoce maturità stilistica.
L’artwork è meno icastico di quello del 2014, l’album fa suo il contenuto dell’EP e gli dona maggiore spessore con nuovi brani e una particolare attenzione agli snodi “narrativi”, che prevedono ben otto brevi variazioni in coda ai singoli pezzi.
Un viaggio sonoro e onirico che tatteggia paesaggi post apocalittici in un alternarsi senza soluzione di continuità di momneit lisergici e improvvisi crescendo.
L’accoppiata demoniaca “Cosmogenesis” ed “Age Of Aquarius” c’introduce nel “new order”, nella decadenza narrata dalla voce robotica che ben ricordiamo, the voice of truth. “Welcome To Decadence” è un labirinto claustrofobico che non lascia tregua con un dispiego possente di chitarre droppate: come già detto, un brano maestoso su ritmi dilatati e abrasivi.
“Harbingers Of Doom” resta impressa nella memoria per il suo ritornello ossessivo e le liriche smagate. “Messaggero del destino”, Paolo Luciano canta in modo sibillino e le linee vocali sono meno in risalto rispetto all’EP, complice la produzione ritoccata. L’assolo di chitarra resta magnificente, la coda del brano magnetica.
Il primo inedito in scaletta, “Xibalba Be”, presenta bonghi e sonorità tribali, atte a creare ulteriore spaesamento e disorientamento metafisico. Un intermezzo strumentale suggestivo, con Mariano Sanna in gran spolvero alle pelli, a dialogare con tastiere e chitarre acustiche.
I ritmi tornano furenti con “De Apokalypse”, brano che attacca quasi gothic con una voce lirica (che ritroveremo nella titletrack) e tanta potenza. Le ritmiche sono spietate e creano un muro sonoro di metallo atro. Le linee vocali sussurrate e corrosive interpretano bene un refrain con la giusta melodia.
Si torna nel limbo dell’oblio anodino con “Dead Brain”, il cui inizio spicca per un curioso mix del Confutatis con arrangiamenti elettronici. La musica è una colata doom, i testi sono profetici: «your sins are rising – inferno / money will not save your souls / smell of burning – eternal / forever enslaved, that’s your faith». Altra coda elettronica e subito “Chosen Path” continua il discorso, con il rodato intreccio di ritmiche poderose e tastiere multiformi. Alberto Franco, ospite al microfono, istrioneggia un po’ nella strofa centrale e si anticipa di nuovo l’avvento della title track: «Chosen path until the end / wonderland of the insanes / hopeless stand in this island /calling human awakening». Un altro assolo ispirato nel finale, poi campana a lutto.
Siamo in finale di album. Cosa aggiungere circa la titletrack, brano ambizioso che ha reso memorabile l’EP omonimo? Un istant classic dal groove invidiabile. Nella nuova versione la produzione penalizza un po’ gli accenti di tastiera così evocativi nella prima versione, ma il guitarwork guadagna in potenza. Gli ultimi minuti sono un cammeo pseudo-rhapsodiano, con voce lirica e timpani. Tutto potrebbe concludersi qui, quale ecpirosi liberatoria, invece, “Collapsing Universe” regala altri istanti magici, prolungando la coda della titletrack e snodandosi in una sezione strumentale con momenti rocciosi e altri distensivi, che sfociano in un breve outro catartico.
In definitiva siamo di fronte a circa un’ora di musica notevole sotto ogni punto di vista, compositivo, concettuale e testuale. Il duo piemontese sfrutta al meglio sezioni strumentali e sezioni cantate; la produzione è decisamente migliorata rispetto a quella dell’EP del 2014. Non possiamo che augurare ai Kernel Generation di sfondare nel mainstream, magari coinvolgendo una label di tutto rispetto. Bravi ragazzi!
Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)