Recensione: Modern Dismay
Il secondo full-length dei Nothing Noble, “Modern Dismay”, è l’occasione per porre l’attenzione su un sottogenere piuttosto recente: il progressive metalcore.
Con che, ormai non si contano più le ramificazioni che si dividono dalle fogge musicali principali, in questo caso il metalcore, appunto. Il quale, secondo gli intenti, dovrebbe contenere in sé spunti di progressione stilistica tali da condurlo a un qualcosa di complesso, di diverso dai soliti cliché.
A onor del vero, partendo per il viaggio da che conduce da ‘(of doom)’ a ‘The Path to Peace’, la title-track non mostra di possedere nulla di più dall’ordinario. Ma è una osservazione superficiale, questa, troppo banale per essere vera. Difatti, oltre a inserimenti di tastiera che non sono proprio peculiarità del metalcore, i Nostri lasciano intravedere un sound obbiettivamente meno lineare e scontato rispetto a quello che deriva dall’applicazione scolastica dei dettami-base del metalcore medesimo.
I blast-beats di ‘Rotting Away’ e di ‘Torn Asunder’ rappresentano già di per sé un’evoluzione netta del drumming, altrimenti lineare e prevedibile. Ma non solo blast-beats, anzi. I pattern di batteria sono complicati, variabili, mai uguali e se stessi; per un ritmo scandito, a volte, dagli immancabili stop’n’go, ma rappresentativo di un’evidente voglia di uscire da schemi assai rigidi.
L’ugola di Cornelius Qvist è arsa, arida, graffiante, e sin qui nulla di nuovo ma, occorre evidenziarlo, contraddistinta da un tono cupo, oscuro. Come se si trattasse di growling cantato con le harsh vocals, giusto per dare un’idea di una teorica antitesi. Harsh vocals che non si trasformano mai in clean, nemmeno nei refrain melodici.
I quali non sono particolarmente numerosi. Al contrario, prevale una netta tendenza verso linee vocali e assoli dal carattere spiccatamente dissonante, disarmonico. Così come il riffing, questo sì, davvero raggomitolato in forme a volte astruse, di difficile interpretazione e quindi assimilazione. Accordi duri e riottosi, in perenne mutazione genetica, anch’essi difficili da digerire per la loro mancanza di melodia a parte qualche breve segmento sparso qua e là.
Ecco. La melodia. Elemento imprescindibile nel metalcore più orecchiabile e cioè quello europeo, per intendersi. La quale, nel disco, fa capolino ben poche volte, dando così – a parere di chi scrive – la vera pennellata progressive a un sound che parte dal semplice per finire nella multiforme estrinsecazione di concetti per nulla semplici da interpretare correttamente. Come nella strumentale, variegata e caleidoscopica ‘Carnation’; probabilmente anzi sicuramente il brano ideale per cogliere appieno l’idea musica del gruppo danese.
Musica eseguita con impressionante perizia tecnica, e altrettanto prodotta con maestria ma che, ancora una volta, tende a prendere il sopravvento sul songwriting dei singoli pezzi. Lo stile è davvero interessante, e su questo non ci sono dubbi, ma le canzoni risultano un po’ troppo ostiche, a parte qualcosa di più accattivante come ‘Eternal Change’. Tuttavia non si tratta di un difetto, in quanto “Modern Dismay” può essere apprezzato per la sua… diversità, intesa come pregio, appunto, per un qualcosa che si alza di livello tecnico/artistico a mano a mano che procedono gli ascolti.
Non resta che rendere il giusto onore ai Nothing Noble per avere avuto il coraggio di uscire dalle calpestatissime strade del metalcore per tentare di regalare ai fan un prodotto nuovo, diverso dal solito. Un prodotto, però, che necessita di una non comune apertura mentale per essere apprezzato nella sua globalità.
Daniele “dani66” D’Adamo