Recensione: Modes Of Alienation
The Alien Blakk è il progetto strumentale del chitarrista statunitense Joshua Craig, personaggio non troppo noto al grande pubblico ma in grado di sciorinare un curriculum di tutto rispetto, avendo collaborato con grossi calibri del metallo duro come Fear Factory, White Zombie, Megadeth, Flotsam & Jetsam e Fight per citarne alcuni, il quale, messa a punto una sezione ritmica di ottimo livello ed affidabilità, Dave Ellefson al basso (per anni alter-ego di Dave Mustaine nei Megadeth) e Craig Nielsen alla batteria (Flotsam & Jetsam), irrompe sul mercato con il suo primo lavoro solista dal titolo di “Modes Of Alienation”.
La biografia della band offre la seguente descrizione del genere proposto: “Un esempio di musica metal dove Meshuggah e Fear Factory incontrano Frank Zappa ed i Guns n’ Roses”, indicando quindi in modo inequivocabile una fortissima poliedricità ed una serie di influenze tra le più disparate.
In effetti alla resa dei conti le varie tracce denotano una frammentazione notevole ed una discontinuità in termini di songwriting molto chiara, spaziando da accenti stile Meshuggah con chitarre pesanti e stoppate di brani come l’opener “Replihate”, “The Thing” e “Self”, per andare poi a richiamare atmosfere melodiche e virtuosistiche care a Joe Satriani come in “For Max” o pezzi più rilassati quali “Sol Amente”, “A Question” e “In The Name”, per finire al country rockabilly di “Twin, Twang Twung”, con il risultato complessivo di disorientare totalmente l’uditorio in un turbinio di note impazzite.
Purtroppo il prodotto appare inferiore alle aspettative ed all’impegno profuso dal buon Craig e dai suoi validi collaboratori, riassumendosi in una accozzaglia di brani spesso senza capo ne coda e dal profilo non molto appetibile, in parecchi frangenti noiosi e mai in grado di fornire all’ascoltatore immagini e sensazioni di spessore e profondità; troppo spesso la costruzione dei pezzi si limita a girovagare stancamente intorno ad una idea di base che a lungo andare annoia ed appesantisce, divenendo quasi fastidiosa in episodi come la già citata “Sol Amente”, una nenia tediosissima priva di qualsiasi appeal e spunto godibile, o in “For Max”, canzone senza il minimo significato, con chitarre flamencate che sembrano incise a casaccio e del tutto fuori contesto.
Non sembra molto azzeccato nemmeno il suono della solista, che nelle situazioni di maggiore melodia ha una tonalità “zanzarosa” ed insipida e in rarissime occasioni convince per impatto e slancio.
In questo panorama non troppo positivo, appaiono interessanti solo alcune partiture riscontrabili nei pezzi più duri, dove il riffing si fa più massiccio e corposo, sebbene come già specificato, un po’ rovinate dal solito “rantolare” della suddetta chitarra solista, che invece di offrire una addizione di potenza si limita ad intessere litanie noiose e prive di “sprint”, ed il divertito country di “Twin, Twang, Twung”, giocoso scherzo che risulta molto più serio e credibile del restante ellepì, nonostante la sua evidente assurdità.
Che dire di più…
Insomma, per creare un disco strumentale competitivo, non basta una ottima padronanza del “mezzo” e vomitare note su note filtrandole attraverso le influenze più disparate per spacciare il tutto come geniale ed estroso, è necessario anzitutto possedere la capacità rara di appassionare gli ascoltatori trasmettendo emozioni: in parole povere è necessario il “feeling”, aspetto che nella musica del pur bravo Joshua Craig sembra difettare in gran parte.
Sperando in prove di altro spessore, per ora non mi sento di consigliare l’acquisto di questo cd, considerandolo, secondo il mio personale parere, un dischetto non troppo riuscito ed al di sotto della media.
Line Up:
Joshua Craig – Chitarre
Dave Ellefson – Basso
Craig Nielsen – Batteria
Tracklist:
01.Replihate
02.For Max
03.Sol Amente
04.Twin, Twang, Twung
05.A Question
06.The Thing
07.In The Name Of
08.The Audition
09.Self
10.Black Art