Recensione: Mokvání V Okovech
A riprova che il death metal sia un genere cosmopolita, ecco il debut-album dei cechi Sněť, “Mokvání V Okovech”.
Cantato rigorosamente nella lingua madre, il disco mette a nudo una caratteristica peculiare di molte delle band provenienti dall’Est europeo: il… marciume. Ossia, l’attitudine volta a trasformare in musica tematiche strettamente legate al concetto di morte inteso, questo, nel suo significato più materiale.
I Nostri non sfuggono a questa interpretazione generando un sound sfatto, putrido, regno dell’odore stantio della decomposizione. Il che non è affatto immediato. Trasformare qualcosa che è percepibile dall’olfatto in un altro qualcosa che sia percepibile dall’udito non è operazione semplice. Si tratta, difatti, di lavorare sul concetto, meramente astratto, della presenza di cadaveri in decomposizione sì da renderne l’idea con la musica. Operazione in parte istintiva, quindi connessa alla natura di chi imbraccia gli strumenti, in parte razionale, frutto cioè del ragionamento.
Per riuscire in tutto quanto ciò, il quintetto di Praga assegna a ogni suo membro un compito ben specifico. Ma prima di tutto il suono. Sporco, grezzo, cupo e oscuro. Giusto per dare l’idea di essere in una cripta buia, polverosa e piena zeppa di ragnatele. Nonché, ovviamente, di corpi umani in disfacimento. Un suono che delinea i tratti di uno stile coerente con quello che riempie “Mokvání V Okovech”. Non si tratta di old school death metal vero e proprio, come si potrebbe pensare, bensì di qualcosa che gli somiglia parecchio, nella ricerca di qualcosa di diverso che leghi la band a quello che elabora. Un tentativo non perfettamente riuscito, poiché, alla fin fine, gli Sněť non differenziano poi molto da altre realtà similari.
Tornando ai componenti, il buon growling stentoreo di Řád Zdechlin apre il portale dell’aldilà grazie alla sua roca ugola, rifinita – si fa per dire – con la carta di vetro a grana grossa. A volte diretto, a volte soffuso, il tono delle linee vocali è il primo elemento d’impatto per creare quelle atmosfere più su menzionate. A sguazzare nelle pozze presenti sul pavimento dell’immaginario cimitero sotterraneo sono le chitarre. Niente di nuovo anche qui, però Hnisatel e Ransolič svolgono il loro compito con estrema fedeltà agli stilemi di base della foggia artistica di cui si tratta. Riffing avvolgente come un sudario, costante nel suo moto propulsivo e propositivo, capace di creare un discreto ma stilisticamente corretto muro di suono. Poco da dire sulla sezione ritmica, perfettamente allineata, come dettami fondativi, con il resto del gruppo. Il basso dinamico e sciolto di Leproduktor chiude gli spazi vuoti lasciati dal lavoro delle due asce da guerra. Sufficientemente articolato il drumming di Krütorr, che si esprime in maniera apparentemente confusionaria dagli slow agli up tempo, non disdegnando qualche scorribanda nel territorio infuocato dei blast-beats.
La canzoni formano un insieme compatto e coeso, aderente ai concetti da cui parte il combo mitteleuropeo per esprimere le proprie idee, sì da addivenire a un LP che sia aderente alla filosofia compositiva di Zdechlin e compagni. Il che si può assumere come pregio non da poco. Sfortunatamente, nondimeno, ogni singolo episodio non mostra alcuna peculiarità tale da renderlo visibile in mezzo alla marea di realizzazioni affini.
Da elogiare in ogni caso la passione, la professionalità e la fedeltà alla linea degli Sněť ma, in fin dei conti, “Mokvání V Okovech” è un platter come tanti altri.
Solo e soltanto per i fan del death… della morte.
Daniele “dani66” D’Adamo