Recensione: Molten Giant
Concept-album per il terzo full-length dei francesi Exocrine, “Molten Giant” – il primo con l’Unique Leader Records – , ispirato ai film giapponesi (e non) di Kaijū e avente a tema la battaglia post-nucleare fra un gigantesco mostro di lava e gli esseri umani sopravvissuti.
Un tema forte e pregno di atmosfere visionarie, che condiziona la musica dei transalpini in maniera decisiva, donandole profondità emotiva e ampiezza di vedute. Il che rende il technical death metal proposto da Jordy Besse & Co. meno ostico della media del genere, essendo supportato sia da aggiunte ambient (‘Backdraft’, ‘Flamewalkers’), sia da addizioni al synth (‘Lavaburst’), sia da cori e orchestrazioni (sic!, ‘Behind the Wall’). Per una dose non indifferente di melodia (‘Hayato’), di solito inesistente in questi ambiti rarefatti ed estremi.
Quindi, non solo tecnica strumentale ai massimi livelli ma un lavoro organico e coerente con gli stilemi della tipologia musicale di cui trattasi, resa tuttavia meno dura e asciutta dalla predisposizione del combo Bordeaux a miscelare con sapienza la sua chirurgica precisione di esecuzione ad accordi e assoli a volte addirittura accattivanti (‘Backdraft’).
A tal proposito, “Molten Giant” si avvale tantissimo dell’opera delle chitarre di Nicolas La Rosa e Sylvain Octor-Perez, davvero eccellenti sia nella ritmica, sia nei soli; con ciò erigendo un poderoso muro di suono sul quale si possono scorgere i raffinati disegni scavati dalle sei corde a mò di graffiti, raffiguranti la titanica lotta oggetto del concept di cui trattasi.
Ovviamente non mancano song con forti dissonanze, come ‘Flamewalkers’, che riportano il full-length su un piano più aderente ai dettami che tengono in piedi il technical, sempre, però, lasciando uno spazio per lasciar divagare le chitarre in orpelli solistici di pregevole fattura armonica. Un’antitesi, questa, che marca uno dei segni caratteristici della formazione transalpina.
Un’antitesi che, come risultato, ha il pregio di rendere “Molten Giant” accessibile anche a coloro che non siano patiti e/o esperti di technical death metal. È bene osservare, tuttavia, che questa filosofia artistica non inficia assolutamente la messa a giorno di passaggi ostici, complessi, articolati. Sottolineati dal tentacolare drumming di Michaël Martin, in grado di sostenere la sua parte con un’impressionante variazioni di ritmi, a volte sfocianti nell’oceano dei blast-beats (‘The Shape of New World’).
Proprio la closing-track, ‘The Shape of New World’, funge da sintesi finale dello stile degli Exocrine, irreprensibile nell’accostare la discrepanza teorica fra disarmonia e melodia per un esito piuttosto originale, diverso dal solito cliché che vede le formazioni di technical death metal come mitragliatrici di note, spesso prive di legame nonché meri esempi di asettica bravura strumentale.
Gli Exocrine, seppur in possesso di competenze tecniche di assoluto valore, non seguono quest’ultima strada ma la loro… e quella dei Kaijū.
Daniele “dani66” D’Adamo