Recensione: Monotheist
Credo sia stato intorno al 1993 quando lessi su di un famoso magazine di settore la news (poco piu’ di 5 righe) che annunciava la scomparsa definitiva dei Celtic Frost.
Non ne rimasi sorpreso. Se l’erano cercata la fine i 3 svizzeri inanellando uno dopo l’altro dischi scadenti, dopo aver scritto a cavallo del biennio 85′-87′ almeno 2 dischi fondamentali per le generazioni a venire. Tom G.Warrior (ora solo Tom Fischer) non era mai voluto scendere a compromessi con nessuno e tantomeno col music biz… e così l’inferno che li aveva vomitati tanti anni prima se li è ripresi a sé.
Il “Post-Pandemonium Shock” (cosi’ descritto dallo stesso Fischer) aveva vinto e li aveva trascinati verso un’inesorabile fine. Parlare oggi di un disco come Monotheist è molto difficile se non pericoloso. Bisogna pesare ogni parola, perché qui ragazzi si parla del ritorno degli autori di “To mega Therion” e soprattutto del fenomenale diamante nero che risponde al nome di “Into the Pandemonium”.
Se il 99,9% delle band Black metal citano i Celtic Frost tra le loro più importanti influenze un motivo ci sarà…
Prima della reunion un risoluto Fischer aveva dichiarato che se mai i Frost fossero tornati insieme lo avrebbero fatto solo per sfornare un lavoro degno dei loro due capolavori sopracitati, altrimenti non avrebbe avuto alcun senso e soprattutto si sarebbe corso il rischio di rovinare definitivamente il culto, il mito, la leggenda. Poteva essere veramente un passo falso. Poteva essere un’ operazione ridicola vista anche la quantità (e la qualità) di dischi estremi usciti dai tempi del loro split fino ad oggi.
Poteva.
Ma non è andata così. I Frost oggi riscrivono ancora una volta le regole. Le loro. Così come fecero con “Into the pandemonium”, oggi la band svizzera solca un altro sentiero che i piu’ impavidi dovranno seguire. Nuove regole, nuove vie. Il male nel 2006 si chiama per nome: MONOTHEIST.
Qui siamo di fronte ad una colata lavica di dimensioni immense. Un monolite alto e nero. Liscio, invalicabile, insondabile e non accessibile. Si staglia alta la creatura partorita da Tom Fischer, Martin Ain e Franco Sesa (ottimo drummer italiano). Cosi’ alta che stare qui a commentare canzone dopo canzone e’ quasi un insulto. Ma probabilmente le mie stesse difficolta’ le avra’ incontrate anche chi nel lontano 1987 recensì “Into the Pandemonium”.
Monotheist ha oggi la stessa valenza storica di quel disco, e non esagero quando dico che diventerà da subito il nuovo termine di paragone con cui tutti quelli che vorranno e dovranno confrontarcisi.
Parte subito cattiva la creatura Monotheist con la violenta “Progeny” e subito ci si accorge che il tempo non è mai trascorso. Le morbose melodie di “Ground” e “Dying god coming into human flesh” dissipano ogni dubbio (ma veramente c’erano dubbi?) e l’ascolto diventa deliziosamente doloroso perché la colata lavica brucia e ci si domanda come la musica estrema abbia potuto dimenticare così in fretta i suoi genitori più morbosi… ma ora niente paura, perché il male è di nuovo tra noi e si manifesta intervallando mid-tempos ipnotici a sfuriate di rara intensità. “Obscured” ci trascina a fondo in un mondo dove la luce ha fallito. Dove Dio ha fallito.
Il trittico finale composto da “Totengott-Synagoga Satanae-Winter” non può nemmeno essere commentato. Il male sgorga nuovamente, cieli blu-cobalto faranno da cornice ai nosri ultimi giorni…
Sperando solo che ora non ci sia un “Post-Monotheist Shock” e soprattutto un Cold Lake parte 2 nascosto da qualche parte negli anni a venire.
E ora, squallidi mestieranti dal volto dipinto (ancora? nel 2007?) chi di voi sarà in grado di seguire i maestri? Tornerete forse alle vostre attività bucoliche?
Più grandi dei grandi.
Autentica soundtrack dell’inferno in terra.
Ah, quasi dimenticavo: ARE YOU MORBID?
TRACKLIST
1.Progeny
2.Ground
3.A dying god coming into human flash
4.Drown in ashes
5.Os abysmi vel daath
6.Obscured
7.Domain of decay
8.Ain eloim
9.Totengott
10.Synagoga satanae
11.Winter