Recensione: Monstrosity Per Defectum
Non ci siamo proprio. Questo è il secco responso dopo l’ascolto di
Monstrosity Per Defectum, album di debutto dell’ennesima formazione
brasiliana che varca i confini nazionali alla conquista degli appassionati nel
resto del mondo.
Per dirla alla Abatantuono, la parole d’ordine è sempre la stessa: violenza.
Violenza che gli Anmod esprimono in ogni singola traccia di un disco che
è pane per i denti dei cronici detrattori del brutal. Tanta velocità, batteria a
mitraglia, riff sparati, voce cavernosa, e qualche buon rallentamento. Gli
ingredienti minimi per un buon dischetto che non vengono supportati da una dose
adeguata di personalità, di idee che non siano riciclate dalla miglior
tradizione americana, e soprattutto di ispirazione.
Tante volte ci siamo trovati davanti a gruppi non innovativi, ma che
nonostante tutto si lasciavano ascoltare per la qualità della propria musica;
con gli Anmod invece si ha come la sensazione di ascoltare realmente la
stessa canzone per tutta la durata di Monstrosity Per Defectum,
variando quel minimo per giustificare le brevi pause tra un pezzo e l’altro,
propinandoci un lavoro privo di spessore, che aggredisce immediatamente ma che
non lascia trasparire molto altro.
Un disco sostanzialmente inutile, per musicisti che possono solo migliorare.
Arrabbiati lo sono, ora dovrebbero cominciare a suonare col cervello.
Stefano Risso
Tracklist:
1. Serpent-legged
2. Anmod
3. Hung Up At The Pale
4. Wretchedness And Decay
5. Outwitted By Redeeming Features
6. Behold
7. Absence Of An Upper World
8. Impending Loss
9. Weakness Of Will
10. Thoughtlessness
11. Surcease
12. Monstrosity Per Defectum