Recensione: Monumension

Di Tiziano Marasco - 6 Gennaio 2013 - 0:00
Monumension
Band: Enslaved
Etichetta:
Genere:
Anno: 2001
Nazione:
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75

2001 odissea nel psychedelic viking metal. Chissà se gli Enslaved avevano visto il filmone di Stanley Kubrick, prima di entrare in studio e plasmare le oscure trame della loro settima uscita discografica, alias Monumension. Naturalmente l’accostamento di una band grezza e feroce alla celebre mattonella del cinema fantascientifico può sembrare fuori luogo, tuttavia nelle righe a venire si scoprirà che il paragone, per quanto azzardato, non è del tutto campato in aria. 

Indiscutibilmente dopo il terremoto di Mardraum, uscito appena 19 mesi prima, sarebbe stato difficile trovare in Monumension una nuova. svolta stilistica; più legittimo attendersi un semplice affinamento delle idee abbozzate e buttate giù (troppo) alla rinfusa l’anno prima. E così fu: i nostri continuarono imperterriti ed imperturbabili a mischiare il ruvido viking degli esordi a sonorità tutt’altro che luride, complice anche la formazione ormai rodata, con gli inossidabili Bjørnsonn e Kjellson affiancati per la terza volta da Kronheim e Dirge Rep. Allo stesso tempo la componente psichedelica e riflessiva stava prendendo sempre più spazio nel sound Enslaved, facendosi in questa sede chiara e completamente intellegibile anche agli ascoltatori più distratti (nonché ai puristi sempre più schifati).

Elemento degno di nota è però anche la fase di produzione e mixaggio, laddove venne coinvolto un team di ben quattro tecnici sonori, team in cui faceva capolino il nome di Hedbrand Larsen, figura chiave che negli anni a venire avrebbe definitivamente portato a termine la mutazione dei norvegesi, rendendoli ciò che ancora adesso sono. Bisogna però dire che la tecnica sonora, per quanto decisamente migliore a quella delle prove passate, si presenta ancora piuttosto lacunosa sotto certi aspetti. Per farla breve la qualità audio, in onore alla tradizione scandinava, rimane medio-bassa. Il che è un bene da un lato, perché dona al disco una fosca compattezza, molto indicata per siffatto viaggio in lande sonore inesplorate, ed anche perché riesce a tenere unito un grappolo di composizioni eterogenee ed assai diverse tra loro. Dall’altro lato però non esalta a dovere certi passaggi tecnici e particolarmente psichedelici, appiattendo ottime intuizioni alla base furibonda di chitarra ronzante, basso e batteria-grandine.

Un altro elemento che balza all’orecchio è quello di natura linguistica:”no more norwegian, only english”, se andiamo ad escludere la bonus track in antico danese. Si registra anche un decisivo cambio di tematiche, sempre in linea con Mardraum, poiché nuovamente le liriche non ci raccontano di Jotunhaim, Miðgard o Asgard. Si fanno invece enigmatiche, rimangono sospese in un viaggio cosmico ed extrasensoriale, assumendo quel carattere emblematico tipico dei nuovi Enslaved. E nemmeno troppo lontano dall’odissea nello spazio di cui in apertura. Di pari passo, la musica si fa vieppiù complessa e le influenze si diversificano. I Pink Floyd sottolineati da buona parte della stampa di allora però rimango ancora ai margini (forse perché oggi abbiamo nelle orecchie Isa e Vertebrae). I nomi da fare piuttosto sono quelli di Fleurety ed In The Woods, soprattutto per quel che riguarda la scelta di arpeggi liquidi ed atmosferici. Tonalità sospese che fanno la loro comparsa sin dai primi secondi di Convoys To Nothingness, cavalcata semplicemente epocale, e prendono il sopravvento in Hollow Inside: song introspettiva e mutevole, totalmente in clean, totalmente atipica per il gruppo di cui stiamo parlando, Hollow Inside, a ben sentire, anticipa certi Antimatter (ascoltare per credere). Stesso discorso vale per i due brani più contaminati dell’album, The Voices, splendida fusione di black e prog per cui qualsiasi sermone sarebbe inutile, e Floating Diversity, 8 minuti lenti e maestosi in odore di doom, dominati da cori imponenti.

Non mancano però i passi falsi, che emergono proprio quando Kjellson e soci cercano di rimanere ancorati alla tradizione. La grezza nudità di Sphere Of The Elements e Smirr cozza infatti pesantemente con le strutture sempre più complesse dei brani precedentemente citati mentre Enemy I guadagna la piena sufficienza soprattutto grazie all’anatema lanciato da Kjellson. Il tutto grava sull’economia del disco che risulta dunque ancora un po’ dispersivo ed indigesto. Si ripete nuovamente il discorso di Eld e Mardraum, ma in misura sempre minore. Paradossalmente la bonus track Sigmundsvaket, rivisitazione di una antica canzone popolare, si inserisce nel disco molto meglio di Smirr (per esempio), ed anzi si rivela uno degli highlits dell’album, grazie anche al ritornello ripetuto allo sfinimento.

Insomma in quel 2001 gli Enslaved si confermarono sempre più come scheggia impazzita della scena norvegese, oggetto misterioso di cui pochi al tempo intuivano le potenzialità; con Monumension la band si avvicina sempre più alla perfetta amalgama tra black metal novantiano e progressive rock settantiano, sfornando finalmente un disco che nonostante alcune sbavature convince ed affascina in modo deciso, offrendo parimenti alcune perle mozzafiato (era ora!). Below The Lights rimescolerà di nuovo le carte, spostando l’ago della bilancia sempre più sul versante prog, mentre la quadratura del cerchio si otterrà solo con Isa, ma queste sono altre storie.

Tiziano “Vlkodlak” Marasco

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Formazione 
Ivar Bjørnson – chitarra, synth, organo, piano, effetti sonori
Grutle Kjellson – basso, voce 
Richard Kronheim – chitarra, voce, effetti sonori
Dirge Rep (Per Husebø) – batteria, percussioni, effetti sonori

 

Tracklist
1. Convoys To Nothingness
2. The Voices 
3. Vision: Sphere Of The Elements (A Monument Part II) 
4. Hollow Inside 
5. The Cromlech Gate 
6. Enemy I 
7. Smirr 
8. The Sleep: Floating Diversity (A Monument Part III) 
9. Outro: Self – Zero 

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