Recensione: Monumental Putrescence
Debut-album per i colombiani Funeral Vomit. Si tratta di “Monumental Putrescence”, summa di alcuni demo, EP e split, necessari a rifinire una proposta musicale i cui autori sono nati nel 2020.
Death metal marcio, puzzolente e putrescente, quello dei Nostri. Fondato sugli stilemi basilari che si stavano delineando alla fine degli anni ottanta, quando roteavano nel brodo primordiale i cui ingredienti erano heavy, black e thrash. Un approccio al genere, questo, tipico delle formazioni centro/sudamericane, restie ad allinearsi alle forme più evolute del genere stesso che, oggi, dominano il globo terracqueo.
Un viaggio all’indietro nel tempo, insomma, quello compiuto dal combo di Barranquilla, teso a riproporre sonorità ormai facenti parte della Storia del metal. Ma che, comunque, fa piacere riviverle nel 2023. Cominciando dal moniker del gruppo per finire con i nickname dei membri, volutamente esagerati nei loro significati testuali; che rimandano anch’essi al periodo sopracitato, quando inventare alias e soprannomi del tipo in esame era un macabro divertimento.
Sebbene tutto quanto possa sembrare ridicolo, oggi, questa rivisitazione… romantica dei bei tempi non dà fastidio agli orecchi, in primis se adesa al sound che erutta dal disco. E adesa lo è. Soprattutto per il mood. Per quel carattere malsano, cupo, oscuro che, tanto per tentare un esempio, aveva i Celtic Frost fra migliori interpreti. Carattere buio, tetro, a tratti orrorifico grazie ai tre brevi intermezzi, compresi intro e outro, atti ad acuiscre ansia, angoscia e, ultima ma non ultima, paura. Paura di ciò che striscia da eoni nelle più nascoste gallerie sotterranee e che potrebbe improvvisamente destarsi per mettere fine al tutto.
Detto questo, occorre rimarcare che, comunque, qualcosa di più moderno del solito c’è, in “Monumental Putrescence”. E cioè i blast-beats. J. Incinerator, il batterista, s’impegna allo spasimo per erogare quanta più potenza possibile, involvendo comunque nel suo background anche pattern rallentati; down-tempo tipici del doom, foggia artistica che, nel platter, incrocia spesso il death scellerato che lo contraddistingue in maniera pressoché univoca.
In questo contesto appare ben centrata l’interpretazione vocale (sic!) di O. Vomit – nome omen, pure chitarrista come da tradizione dell’America Latina. Più che voce, difatti, si tratta di un growling che pare giungere dal centro della Terra; talmente profondo nell’emettere un gorgoglìo in gran parte inintelligibile ma perfetto per completare la parte eminentemente musicale dell’LP.
Questa a opera, principalmente – giacché il basso di H. Mortum è di difficile discernimento, apparentemente teso soltanto a inspessire il suono prodotto dal resto della compagine – , delle chitarre del ridetto O. Vomit e di Y. Crucifixor. Ovviamente non si è davanti a due guitar-hero, purtuttavia occorre nuovamente porre l’accento su un approccio praticamente perfetto per l’economia musicale del full-lenght. Riff putrefatti, semplici e lineari, irrobustiti dalla tecnica arcaica del palm-muting, pure essa avariata, erigono la struttura del sound, contribuendo fattivamente a bagnare il sound medesimo con i liquami della decomposizione organica.
Alla fine del discorso, è evidente che “Monumental Putrescence” sia un lavoro abbordabile solo e soltanto dai più indefessi appassionati del death metal dei primi tempi. I Funeral Vomit sono una formazione primitiva, selvaggia ma encomiabile per l’incrollabile fede in ciò che propongono e, fatto importante, per la garanzia di un inarrestabile sfacelo della carne.
Daniele “dani66” D’Adamo