Recensione: Monuments
In anni recenti l’apporto dell’Islanda al rinnovamento della musica pesante è stato determinante. Si pensi al nuovo circolo Black Metal di Reykjavík, con realtà come Svartidauði, Misþyrming, Naðra e 0 (aka Null), o ai Sólstafir e alla loro transizione dal glaciale Black Metal delle origini al raffinato Post Metal/Rock della fase attuale. Ciò che accomuna queste band è la predisposizione – in forme e modi diversi – all’evoluzione, attitudine che sembra mutuata dalla loro terra natia che, ancora giovane sotto il profilo geomorfologico, è in continua trasformazione. Pur all’interno di un genere completamente diverso, questa propensione all’evoluzione è riconoscibile anche nei The Vintage Caravan la cui matrice Classic Rock è tutto fuorché prevedibile, arricchita com’è dalle venature Progressive e Heavy Psych che la caratterizza.
Il primo nucleo The Vintage Caravan si costituisce nel 2006 ad Álftanes, una piccola municipalità di circa 2.500 abitanti situata nei dintorni di Reykjavík, su impulso dei due amici e compagni di scuola Óskar Logi Ágústsson (chitarra e voce) e Guðjón Reynisson (batteria). Nel giro di un paio d’anni le cose si fanno più serie: nel 2009 vede la luce il primo self titled LP e, di lì a poco, fa il suo ingresso in squadra il bassista Alexander Örn Númason. Il 2012 è la volta di “Voyage”: il secondo capitolo della discografia dei giovani islandesi attira l’attenzione di diversi appassionati, tra cui quella di un certo Walter Hoeijmakers. Nel 2013 il direttore artistico del Roadburn incontra i Nostri al festival islandese Eistnaflug e, oltre ad offrire loro 2 slot per l’edizione 2014 del suo festival di Tilburg, li presenta alla Nuclear Blast che si dimostra lieta di accoglierli nel proprio roster.
L’etichetta tedesca pubblica “Arrival” (2015) e “Gateways” (2018), che evidenziano la progressiva crescita artistica della formazione e le consentono di consolidare ulteriormente il proprio status. Determinante, in questo senso, anche il sodalizio con gli Opeth che non solo scelgono i ragazzi come opening act del tour 2019 a supporto di “In Cauda Venenum”, ma li riconfermano anche per le date del 2022. E, in effetti, Mikael Åkerfeldt e soci sono dei veri e propri mentori per i The Vintage Caravan e loro fonte d’ispirazione, come traspare dai brani “Monuments”, quinto lavoro in studio uscito lo scorso 16 aprile via Napalm Records.
L’album è stato registrato negli studi Hljóðriti nel bel mezzo del glaciale inverno islandese del 2019/2020 e prodotto, come il precedente “Gateways”, da Ian Davenport che, con un suono potente e pulito, contribuisce a conferire alla proposta un taglio moderno nonostante il genere di riferimento. Se “Monuments”, infatti, ha i propri fondamenti stilistici in un guitar-driven Retro Rock, i suoi 11 episodi contengono elementi Progressive (più accentuati che in passato), Psych Rock, qualche accenno all’Heavy Metal e un paio di momenti tranquilli e intimisti, che permettono loro di suonare freschi e interessanti.
L’apripista “Whispers” è un pezzo d’impatto che si struttura intorno a un riff di scuola sabbathiana. In “Crystallized”, di cui è stato realizzato il divertente video in coda alla recensione, si spazia dal giro Funky d’apertura al Vintage Rock, dall’ Heavy Psych dell’assolo di chitarra fino al melodico arpeggio di chiusura. Proseguendo in ordine sparso si ascoltano brani più diretti come “Can’t Get Off My Mind”, con i suoi ritornelli catchy, “Sharp Teeth” ed “Hell”, che nonostante i repentini cambi di tempo e mood sono essenzialmente Stoner, e l’Heavy Blues di “Torn in Two”.
Poi ci sono i passaggi in cui il Prog Rock che scorre nelle vene dei The Vintage Caravan emerge in modo più evidente come nelle potenti “Dark Times”, “Forgotten” e “Said & Done”, galoppate in cui si apprezzano gli insegnamenti degli Opeth, e nella matura ed elegante “This One’s for You”. “Clarity” chiude l’album con un Folk che acquista intensità nell’assolo, in un crescendo di atmosfera e pathos che la accompagna sino al finale.
Avendo scoperto i The Vintage Caravan al Roadburn Festival 2014 dove, poco più che adolescenti, i tre passavano il tempo giù dal palco scherzando e bevendo birra fino a notte fonda, ascoltando questo album non posso che rimanere piacevolmente sorpreso dalla parabola ascendente che hanno saputo tracciare in termini compositivi. A detta della stessa band “Monuments” è la loro migliore release, affermazione che condivido pienamente. La ruvidità degli esordi, già allora accompagnata da ottime capacità tecniche, non è scomparsa, ma ha lasciato spazio a una notevole varietà di soluzioni capaci di catalizzare l’attenzione dell’ascoltatore per l’intera durata del disco. La terra del ghiaccio e del fuoco ci regala un altro grande gruppo che, a dispetto della giovane età dei suoi componenti, si dimostra accostabile per qualità a grandi nomi del genere come Graveyard, Horisont e All Them Witches.