Recensione: Monuments

Di Stefano Usardi - 14 Luglio 2017 - 9:19
Monuments
Band: Edguy
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2017
Nazione:
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70

Ho sempre avuto un rapporto molto difficile con i “Best Of…” ufficiali. In genere li apprezzo se riguardano gruppi che non conosco particolarmente o di cui non mi frega granché, mentre per i miei beniamini ho sempre visto tali raccolte con malcelato sospetto: non perché non mi piaccia l’idea di racchiudere le canzoni più belle di un gruppo in un’unica dream list, ma perché ho sempre creduto che tale listone non potesse prescindere dalle preferenze dell’utente di turno, e che pertanto dovesse essere un diritto/dovere del fan crearsi da solo il proprio greatest hits per non finire ad ascoltare la playlist di qualcun altro.

Ciò detto, devo a questo punto ammettere di aver apprezzato non poco questo “Monuments”, greatest hits celebrativo per i 25 anni di attività dei tedeschi Edguy, partiti dal nulla ed arrivati in una manciata di anni ai vertici del mondo power-metallico grazie alla pubblicazione di alcune belle bombette. Poi la svolta verso territori più hard rock, il progetto Avantasia e chi più ne ha più ne metta hanno dato l’idea che il futuro del gruppo di Fulda fosse in qualche modo a rischio, anche per via di alcune uscite discografiche non particolarmente incisive. Oggi, i nostri eroi tirano una riga dopo il loro quarto di secolo sulla breccia con questa gargantuesca carrellata di classici, presi direttamente dagli album originali senza quindi l’ausilio di rimaneggiamenti, remix o sovra-incisioni, insaporita da cinque brani inediti posti in apertura e un piccolo colpo di coda in chiusura. Come se non bastasse, a tutto ciò si aggiunge un DVD contenente l’esibizione del 2004 a San Paulo durante l’Hellfire Club Tour. Al di là di ogni considerazione di carattere commerciale ci troviamo dinnanzi a una raccolta di tutto rispetto: dai, ammettiamolo, ascoltare tracce come “The Piper Never Dies”, “Mysteria”, “Vain Glory Opera” e “Tears of a Mandrake” (solo per citarne alcune) fa sempre un certo effetto, e dato che praticamente ogni album degli Edguy è stato trattato da questo sito mi limiterò a tratteggiare solo gli inediti, che di certo costituiranno la principale e più appetitosa incognita di questa uscita.

Si parte con “Ravenblack”, singolo pubblicato un mesetto fa e già ampiamente macinato dai fan del gruppo: il brano parte minaccioso, con un arpeggio lento e oscuro, salvo poi rischiararsi un pochino con l’ingresso di Tobias ed esplodere definitivamente all’arrivo del ritornello. “Ravenblack” si regge su tempi scanditi, melodie a tratti maestose doppiate da chitarre grosse e, com’era lecito aspettarsi, una prova vocale di Sammett coinvolgente e priva di sbavature, avanzando per i suoi cinque minuti senza scossoni ma anche senza grandi sorprese. Certo, siamo lontani dalla carica dei vecchi tempi, ma tutto sommato poteva andare molto peggio. “Wrestle the Devil” parte con un bel riffone dal profumo heavy rock e ne mantiene l’incedere per tutta la sua durata, alternando passaggi più smargiassi e quadrati a coretti accattivanti e linee vocali ruvide e sinuose. Nonostante il risultato non sia brutto, qui più che nella traccia d’apertura manca la carica, quella vera, e ci si trova dinnanzi a una canzone carina ma priva del giusto mordente e, a volerla dire tutta, anche un po’ monotona. “Open Sesame”, invece, parte meglio, decisamente meglio: grinta e melodia si amalgamano finalmente nelle giuste proporzioni e, grazie a un piglio adeguato e una spruzzatina di adrenalina stradaiola alla Highway Star riesco a vedere la luce in fondo al tunnel e alzare il mio pollicione per un pezzo finalmente convincente. Avanti così. “Landmarks” prosegue ottimamente lungo la retta via aggiungendo alla miscela una cucchiaiata della romantica maestosità dei bei vecchi tempi, screziando così la robusta cavalcata con un pizzico di trionfalismo che ci sta sempre bene, mentre la successiva “The Mountaineer” punta ancor di più su un approccio catchy (forse troppo) tornando direttamente al periodo di “Mandrake”, ma nella sua foga di non scontentare nessuno si perde un po’ per strada, risultando solo un pezzo molto carino impreziosito da un paio di guizzi. Salto in avanti e si arriva, in chiusura del secondo cd, a “Reborn in the Waste“, datato 1995 (registrato durante la lavorazione di Savage Poetry) e rimasto in un cassetto fino a questo momento: l’inizio è sottaciuto, ma in breve si passa al classico power di quegli anni, secco e per certi versi ancora acerbo ma dall’incedere molto sentito. Il pezzo non è proprio quello che si definirebbe una bomba, ma chiude con un simpatico salto nel passato la parte squisitamente audio di questa raccolta e, alla fine, si ritaglia comunque il suo spazio.
Il resto, come scrivevo prima, è storia del power teutonico, e qui non ci si può dire nulla: si può eventualmente disquisire sulla scelta di alcuni brani piuttosto che altri (personalmente avrei gradito vedere “The Pharaoh” in scaletta, che reputo un autentico gioiello), ma qui si entra nel giochino dei gusti personali di ciascun utente e che diventa sterile se trasposto nel ben più insidioso e stratificato labirinto commerciale.
E ora la fatidica domandona:

Vale la pena tirare fuori dal proprio portafogli ventordici mila tra i propri sudati paperdollari per acquistare questo maxi-mega-best of?

Ci stavate cascando, vero? Sappiamo tutti che la vera domanda è un’altra: “Gli inediti inseriti a forza in questo maxi-mega-best of valgono al punto da acquistare il pacchetto completo?” Probabilmente no, MA al netto di tutto il ben di dio che viene messo sul piatto (quasi trenta canzoni, due ore e mezzo di musica senza contare il dvd) io un pensierino ce lo faccio eccome, tanto più che in giro questo “Monuments” si trova anche a prezzi più che abbordabili…
Certo, pubblicare i soli inediti parallelamente al Greatest Hits (e magari ad esso accorpati in una edizione alternativa “extra lusso”) sarebbe stato magari più onesto, visto che i fan del gruppo avranno già tutti gli album e si potrebbero sentire un po’ ricattati da un’operazione di marketing dal valore più o meno discutibile, ma questi sono discorsi già fatti mille altre volte su cui non ho molta voglia di tornare, tanto più che adesso sta cominciando “Lavatory Love Machine” e devo mettermi a cantare per il negozio!

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