Recensione: Monuments of Tragedy
Svegliatisi da un sonno durato ben nove anni, tornano in pista i Pandemonium, quelli svedesi. Con l’ultimo nato, “Monuments of Tragedy”, a rappresentare il disco del risveglio; quarto album di una carriera che, dal 1997, ha proposto una discografia essenziale, senza fronzoli e orpelli, cioè, tesa a badare subito al sodo.
E così è anche per il full-length in esame che, nemmeno a cominciarlo, spara a mitraglia un furibondo death metal sinfonico sin dall’opener-track, appunto, ‘And Death Was the Way’; il cui cupo incipit a base di cupi archi e maestosi cori femminili lacera l’etere di nero. La voce narrante ha il compito di innalzare la tensione e via!, il quartetto scandinavo parte e vola alla velocità della luce, trasportato da ondate su ondate di violentissimi blast-beats.
Johan Bergström propone un approccio alle linee vocali mediante un ottimo growling: duro, secco, acido, stentoreo; ideale per condurre le sue truppe alla battaglia. Un growling che a volte muta in screaming, donando al tutto un gradito tocco di black metal. Semplicemente fantastico il lavoro alla chitarra di Thomas Ahlgren, impegnato a cucire riff convulsi, ampi, quadrati ma anche circolari nel loro rincorrersi su se stessi. Da delirio la sezione ritmica, terribile macchina propulsiva pilotata da Johan Aldgård al basso e Jacob Blecher alla batteria, responsabile della costruzione di un muro di suono praticamente senza limiti spaziali. Un sound apocalittico, alimentato per addivenire alla massima pienezza possibile dalle ariose orchestrazioni. Imprescindibili per donare al sound un alone di mistero e di fantasia, convergenti in un mood definibile come fantasy.
Benché le melodie eruttino da ogni bordata sinfonica, i Pandemonium non si fanno prendere dalla loro stessa attitudine volta alla percorrenza di strade ove vige l’armonia. Al contrario, la pazzesca energia eruttata dal tremendo drumming di Blecher li trasporta nella regione dell’hyper-trance. Pura allucinazione uditiva e visiva, perché no, giacché, fra l’altro, la musica del combo di Lund riesce a scatenare visioni di eterni, immensi ghiacciai, fiordi battuti dall’oceano in tempesta, fittissime foreste in cui si celano orrendi misteri. Un piacere per la mente, immergersi in sound enorme per quantità di note, lasciandosi andare per entrare in cupi e oscuri stati di allucinazione.
Certamente “Monuments of Tragedy” non è un album rivoluzionario, nel senso che non propone caratteristiche di innovazione, allineandosi fedelmente allo stile natìo. Tutto è perfettamente conforme ai dettami del ridetto symphonic death metal. Un’eresia, per alcuni, ma che non trova riscontro in una proposta assolutamente coerente, più in generale, con gli stilemi del genere-madre. Il death metal, appunto.
In questo caso, ove, cioè, lo stile della formazione nordeuropea non propone spunti evoluzionistici, una grossa responsabilità in merito alla riuscita del platter pesa sulle canzoni. Le quali necessitano di parecchi ascolti per essere assimilate, data l’elevata quantità di materiale in esse presente. Una volta fatto l’orecchio, il trasognate viaggio da ‘And Death Was the Way’ a ‘The Only Catharsis’ si rivela ricchissimo di particolari che, a poco a poco, vengono alla luce, donando in tal modo la giusta longevità all’opera. Tutte le tracce sono assestate su un livello tecnico/artistico più che accettabile, che raggiunge il culmine con la straordinaria ‘Necromania Unleashed’, hit del lavoro, se così si può dire, mirabile miscela di elementi contrastanti quale una ferocia sonora quasi senza limiti e una clamorosa melodiosità.
Certo, se tutti i brani fossero baciati da un songwriting magico come la suddetta ‘Necromania Unleashed’, “Monuments of Tragedy” sarebbe se non un capolavoro, quasi. Così non è, per cui, tirando le somme, resta un po’ di amaro in bocca per un qualcosa che sarebbe potuto essere ben oltre l’ordinarietà. In ogni caso, si tratta comunque di un CD di buon livello, piacevole da ascoltare e ricco di variazioni al tema principale (‘The Code’), adatto a tutti coloro che amano il metal estremo.
Daniele “dani66” D’Adamo