Recensione: Lunaris
Ad un anno esatto di distanza dal debut “De Rerum Natura” tornano sul mercato discografico sempre per Scarlet Records i Moonlight Haze con il nuovo full-length “Lunaris”. Nessun cambio in lineup da segnalare nel poco tempo intercorso per la band fondata dagli ex-Temperance Chiara Tricarico (voce) e Giulio Capone (batteria e synth), ai quali si aggiungono le chitarre di Marco Falanga ed Alberto Melinato, al basso Alessandro Jacobi. Missato e masterizzato in maniera impeccabile ai Domination Studios di San Marino sotto l’occhio vigile del maestro Simone Mularoni, “Lunaris” si presenta con un nuovo, elaborato artwork di Beatrice Damori, ad enfatizzare la dualità tra l’analogico degli ingranaggi ed il digitale, tra il piano fisico e quello astrale, con una grande luna appena illuminata che si staglia sullo sfondo.
Se il primo lavoro “De Rerum Natura” ci aveva sorpreso per la freschezza delle composizioni in un power sinfonico che sembrava la naturale evoluzione dei primi dischi dei Temperance con Giulio Capone al pentagramma e Chiara Tricarico al microfono, “Lunaris” consolida e rafforza le impressioni su questa giovane band, in un viaggio “To the Moon and Back”, per citare la stessa band.
Non è facile del resto emergere in un settore come il metal sinfonico con voce femminile in questi anni, sempre più inflazionato di proposte e band impegnate ad emulare Nightwish, Delain e Within Temptation della prima ora, alla ricerca della melodia facile da supportare con tonnellate di orchestrazioni – e recentemente anche synth e musica elettronica.
I Moonlight Haze ne escono con stile, grazie ad una buona varietà nella proposta e a soluzioni semplici ma non sempre prevedibili, in un evidente dualismo tra luce e tenebre sin dal moniker, dove la limpidezza della luce lunare viene rapita dalla foschia. Primo elemento da evidenziare è l’esponenziale crescita vocale di Chiara Tricarico, sempre più consapevole delle proprie possibilità e limiti, capace di passare con scioltezza dalle sezioni più aggressive e grintose al canto lirico, fino alle sezioni più melodiche e delicate colorando la sua voce con le sfumature più adatte alla situazione. I testi sono sempre molto intimi e filosofici, con alcune storie narrate come nel caso di “The Rabbit of the Moon” ispirata dalla mitologia orientale. Consigliatissima la versione in giapponese del brano, forse ancora poco ascoltata, che sembra uscita da una metal band del Sol Levante.
Tra i brani più interessanti del lavoro, oltre al singolo ed opener “Till the End” che con suo up-tempo ci incita a continuare a lottare con la stessa grinta del grido di Chiara al termine del pezzo, sicuramente annoveriamo la suite progressive “The Dangerous Art of Overthinking” (chi non è esperto di questi tempi di quest’arte pericolosissima?), con un buon growl supportato da una batteria furibonda tra power e black metal. Bella anche la tormentata “Enigma” col suo cantato in lingua italiana e la titletrack “Lunaris” che ci riporta ad un power metal più classico e positivo. Il brano di chiusura“Nameless City” fa sfoggio di un bel cantato lirico e con le sue tastiere ci eleva a spazi più ariosi ed epici. Da evidenziare anche la presenza del violinista degli Elvenking Fabio Lethien Polo nella serafica ‘Of Birth and Death’, brano capace di cullare l’ascoltatore in un mondo senza tempo.
“Lunaris” conferma l’ottimo percorso artistico intrapreso dai Moonlight Haze, che speriamo di ritrovare sul palco appena le condizioni lo permetteranno, con la data del release party del disco già programmata per il 19 settembre al Legend Club di Milano. Nel frattempo non ci resta che ascoltare ammaliati le sue melodie, tra luce ed ombra, illuminati da una pallida luna che continua, imperterrita e raggiante, la sua lotta contro le tenebre.
Luca “Montsteen” Montini