Recensione: Moons And Mushrooms
C’è voluto un bel po’ di tempo per poter ascoltare una nuova fatica dei Lake Of Tears, e dopo così tanto tempo dall’ottimo BlackBrickRoad era naturale aspettarsi qualche cambiamento di rilievo, cosa che del resto a Brennare e compagni viene solitamente molto facile, se ripensiamo alla loro carriera; ovviamente le aspettative in questo senso sono andate smentite subito, dopo solo un ascolto di Moons and Mushrooms. Non che sia un male, chiariamolo: è solo inaspettato.
Di nuovo, gli svedesi si lasciano andare al loro hard rock psichedelico (era dai tempi di A crimson cosmos che non si vedeva una cover così direttamente collegata alla passione dei nostri per determinate esperienze sensoriali…) con forti venature dark; e sottolinerei particolarmente quest’ultimo termine, per ricordare come l’abusata definizione di “gothic” con loro non c’entri ormai più (se mai l’ha fatto) assolutamente nulla. Totalmente alieni all’immaginario pseudo-romantico, infatti, i nostri sono ben più propensi, ormai da un decennio se non oltre, ad approfondire la tematica del “viaggio” mentale, della percezione e della sensazione, ricreandone il più ampio spettro possibile grazie ad uno stile ormai ben definito ma altrettanto riconoscibile. Il punto è, come si diceva poc’anzi, che già dal disco precedente si sarebbe potuto prevedere il sound di Moons and Mushrooms: un andamento spesso pacifico e sognante, arrangiamenti dilatati, onirici ovviamente, e una generale atmosfera di quiete immersa in salsa oscura.
Non mancano gli episodi graffianti, che anzi a volte si dimostrano i migliori del lotto: You better breathe while there’s still time è uno di quei pezzi che rimanda direttamente al predecessore, all’apertura energica di un album che sapeva ammaliare e allo stesso tempo scuotere, mentre qui si tratta fondamentalmente di isole in mezzo a materiale più tranquillo e, se vogliamo, a volte un po’ noiosetto. Anche tra i brani lenti non mancano i brividi, come nella toccante ballata Like a leaf o in Waiting counting, che si abbandona anche ad arrangiamenti elettronici (e non industrial come è stato detto con superficialità estrema…), ma la sensazione generale è che in realtà le idee scarseggiassero un po’, e si sia fatto ricorso all’innegabile classe dei musicisti coinvolti per salvare il salvabile.
Si è ottenuto comunque un album notevole, e del resto con un gruppo come i Lake of Tears è difficile aspettarsi il contrario: ma di sicuro non ci troviamo di fronte ad uno dei capitoli migliori della discografia degli svedesi, che forse ci hanno illuso un po’ troppo con un’attesa così lunga.
Alberto Fittarelli
Tracklist:
1. Last Purple Sky 06:02
2. You Better Breathe while there’s Still Time 04:12
3. Waiting Counting 04:39
4. Like a Leaf 05:05
5. Children of the Grey 04:33
6. Head One Phantom 04:27
7. Island Earth 05:04
8. Planet of the Penguins 06:30
9. Is there a Better Way (Bonus) (Status Quo Cover) 03:50