Recensione: Morbid Black Oath [EP]
Se il buongiorno si vede dalla ‘copertina’, la curiosità mi assale vedendo l’orda di demoni che freddamente in bianco e nero sembrano sfondare il disco per azzannarti alla gola! Un’artwork minimalista, di quelli d’altri tempi in cui imperversava il tape-trading, segno distintivo della nascita del death metal. Gli ungheresi Gravecrusher, nati nel 2012, si presentano così al loro primo lavoro ‘serio’ dopo il demo iniziale “Mutilation Ritual” e lo split “Eternal Mutilation” in compagnia dei connazionali Necrosodomy dello scorso anno.
Ascoltando il primo demo (incluso nell’attuale EP) notiamo una band che gioca le sue carte su un death metal d’impatto, veloce e fedele ai padri del genere, anche se le influenze thrash metal di stampo tedesco sono insite nei suoi tre brani. Improvvise decelerazioni che portano a sezioni doom si alternano alle scorribande velocissime in uno scarno sound, che ricalca appieno le prime produzioni old-school. Quel che invece i primi lavori mettono in mostra sono le abilità tecniche del quintetto di Szeged che intervengono in sostegno di un discorso compositivo non particolarmente entusiasmante.
A distanza di due anni cosa ci sarà da aspettarsi da “Morbid Black Oath”, oltre a far venire in mente Morbid Angel, King Diamond e Mercyful Fate?
La rivoluzione totale!
In primis il sound della band: granitico, perfetto, con una produzione eccelsa che risalta le sue composizioni che sfoggiano una vena creativa non poco interessante. Perché la band riesce a differenziare i brani tenendo sempre la matrice death metal, ma plasmandola a seconda delle necessità compositive di volta in volta messe in scena. Ottima la prova dei singoli, dal drumming vario ma solido di Mutilator agli ottimi riff del duo Disemboweler/ Disguster. E il tocco in più è dato dalla voce di Revenger, che fin troppo spesso ricorda Ross Dolan, andando a scovare vibrazioni profonde e metriche non scontatissime, dando una profondità e un colore come ciliegina sulla torta.
“Triumph Of The Undead” è una mazzata tremenda e come opener è un biglietto da visita imponente. Dopo un’intro di basso e batteria scorre a pieni giri tra i disegni di Mutilator e la sequenza delle sezioni che variano in maniera regolare, tenendo sempre ben chiaro il riff principale. Death metal puro, con le giuste decelerazioni e un accenno groove che tiene alta l’attenzione. “Necromantic Perversion” invece cambia registro, andando a spingere su tasti meno vari ma più cattivi, con l’intro esotica di chitarra che torna tra le varie sezioni in cui l’ugola di Revenger dimostra sempre più il suo talento. Gli stacchi e i doom della title-track “Morbid Black Oath” continuano a dar prova delle capacità di variare i ‘soggetti’ espressi dalla band con un buonissimo solo di chitarra finale, mentre la conclusiva “Worship The Impaler” va a toccare ambiti più grooveggianti, sempre messi in contrapposizione con quella che è la ‘base’ prettamente deatheggiante, che sempre e comunque viaggia a fianco della band.
Non possiamo che applaudire questa band sconosciuta, che aspettiamo col languorino in bocca al primo full-length, perché ha tutte le carte in regola per sfoderare dischi di altissimo livello, considerando l’elevato tasso tecnico e compositivo a favore.
Tanta goduria in un solo quarto d’ora!
Vittorio Sabelli
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