Recensione: Moribund
Afelio: il punto dell’orbita di un pianeta in cui questo viene a trovarsi alla massima distanza dal Sole.
Così, gli In Aphelion, con il loro nome, intendono mettere subito in evidenza che la vicinanza con l’acme luminoso del sistema solare è un parametro che non interessa, anzi. Più lontano si è, dalla fonte di luce, meglio è.
In Aphelion, nuova band formatasi due anni fa e che dà ora alle stampe il suo debut-album, “Moribund”. Nuova per modo dire, essendo composta da due membri dei Necrophobic, nientepopodimeno che Sebastian Ramstedt e Johan Bergebäck, unitamente allo stacanovista batterista dei Cryptosis, Marco Prij. Un progetto elucubrato, probabilmente, per scatenare l’Inferno sulla Terra grazie a un reinterpretazione del melodic black metal che andava così tanto in voga nella seconda metà degli anni novanta. E che era terremotante, terribilmente terremotante.
Attenzione, però: gli In Aphelion non sono un qualcosa di nato tanto per fare. Al contrario, l’impegno profuso dai tre membri nel full-length è assoluto, totale, immersivo. Come se non avesse mai fine la voglia maledetta di far riviere i fasti di uno stile definibile ormai classico, preso atto delle innumerevoli varianti, progressioni, evoluzioni, che hanno preso di mira il black metal nell’ultimo decennio.
E infatti, il muraglione di suono eretto da Ramstedt e soci è semplicemente immane. Così come lo è sempre stato, nell’ambito della foggia musicale di cui trattasi. Muraglione duro come un diamante nero, invalicabile in virtù di un sound enorme, titanico, la cui potenza diverge all’infinito.
Il grezzo incipit dell’opener-track ‘World Serpent (Devourer of Dreams)’ fornisce il leitmotiv del brano stesso, che si lancia immediatamente oltre la frontiera del suono grazie al terrificante lavoro delle chitarre, foriere di un riff portante che scoperchierebbe anche un bunker sotterraneo. L’incedere furibondo dei roventi blast-beast di un drumming semplicemente devastante trasporta la mente alla lisergica trance da hyper-speed. Ramstedt, oltre che axeman e bassista, è la voce. Voce eiettata da un’ugola acida, ruvida, scabra. Screaming? Harsh vocals? Growling? Non importa, talmente è lampante il talento di colui che, dalle tenebre, aggredisce il microfono. Le linee vocali seguono le splendide melodie della solista, aggrovigliandosi a essa per un risultato da mandare clamorosamente a memoria. Una sorta di hit (sic!) il cui motivo principale girovagherà a lungo nei meandri cerebrali.
Ma “Moribund” non è solo ‘World Serpent (Devourer of Dreams)’: esso dura quasi un’ora per cui di materiale da masticare ce n’è, e di primissima qualità tecnico/artistica. Niente riempitivi ma solo dannato black metal incanalato in dieci tracce una più meritevole dell’altra. Comprese quelle più lunghe come ‘Draugr’ e ‘This Night Seems Endless’ due suite in cui il combo di origine svedese/olandese fornisce prova di un talento compositivo sopraffino, foriero della più brutale musicalità a mano a mano che passano i minuti.
Detto di uno stile certamente adulto, personale e professionale ma non particolarmente originale, quello che nobilita il platter è la grande qualità delle canzoni. Tutte ben diverse le une dalle altre seppure legate da un unico filo conduttore, che è lo stile suddetto, ciascuna da gustare a poco a poco, tutte dotate di un’anima viva, pulsante, unica al Mondo. Ne è ulteriore esempio la title-track, anch’essa dotata di un intro ambient/strumentale lugubre e oscuro, retta – come l’opener-track – da un fenomenale riff portante. Una delizia, questa, che ultimamente si sta un po’ perdendo, in ambito di metal estremo, così pesantemente contaminato dalle novità della terza decade del terzo millennio.
Nient’altro da aggiungere: “Moribund” è una sorpresa inaspettata, un grande regalo per tutti i blackster ma non solo, un’opera da possedere e cannibalizzare per settimane e settimane. Chi l’avrebbe mai detto? Una nuova creatura discendente da Euterpe si muove nel gelido, nero, vuoto interstellare: si chiama In Aphelion!
Daniele “dani66” D’Adamo