Recensione: Morning Star
Parlando di questo gruppo svedese, ormai famosissimo in ambito death, che porta il nome di Entombed, non possiamo non fare riferimento alla drastica rivoluzione, sia a livello discografico che tecnico, che lo ha investito alla fine degli anni Novanta.
In primis per quanto riguarda la line up della band, che ha visto l’allonatamento, nel lontano 1997, del suo fondatore e leader, Nicke Andersson, e l’acquisizione quindi, di un nuovo drummer: l’ ottimo Peter Stjanrvind. Bisogna citare poi un cambiamento di etichetta, avvenuto però già prima della partenza di Andersson: vi è infatti il passaggio da Earache Records, recording house che li aveva lanciati, a Music For Nations. Tutto ciò potrebbe in teoria non significare esattamente nulla, ma per quanto riguarda i 4 svedesi, non è stato così.
Infatti, questi avvenimenti hanno contribuito allo stravolgere un pò le cose in casa Entombed e a creare quindi un clima di grande confusione, che si è inevitabilmente ripercosso anche sulle loro performances musicali. La band, tuttavia, ha continuato a sfornare album, incurante del fatto che la critica, dopo la pubblicazione di To Ride, Shoot Straight, And Speak The Truth, gli si era scagliata contro in maniera piuttosto violenta. Tre sono le release nate dal dopo-Nicke: Same Difference ( 1998 ), Uprising ( 2000 ) e Morning Star (2001 ). Ed è proprio con quest’ ultima che gli Entombed sono riusciti a rialzare in parte la testa, dopo il periodo di crisi che li aveva investiti con gli altri due, creando un disco, seppur lontano dallo stile che aveva contraddistinto la band degli esordi, molto più tecnico e ritmicamente articolato.
Registrato nei Polar e Das Boot Studios nel 2001 in quel di Stoccolma, Morning Star rappresenta il vero e proprio punto di svolta, soprattutto tecnicamente: un concreto passaggio da un Death violento e velocissimo, ad un più lento e ragionato Thrash/Power, mantenendo però lo stesso stile di psicoanalisi interiore che aveva caratterizzato i testi dei precedenti lavori della band.
La opener di questo disco è “Chief Rebel Angel”, canzone che evolve da un lento battito cardiaco, fino a guadagnare una spinta ritmica piuttosto importante, diventando sempre più incalzante e potente, introducendo la voce del singer, L-G Petrov. Volendo trovare una pecca, a questo seppur ottimo pezzo, è l’eccessiva ripetitività del chorus, che alla lunga può stancare. Con la seconda traccia del disco, “I For An Eye”, viene sprigionata al massimo l’espressività e la potenza della band, in special modo della batteria, che esegue una doppia cassa quasi costante. Ma onestamente il tutto si ferma lì, facendo quindi restare questo pezzo complessivamente nell’anonimato.
Alla posizione numero tre troviamo il vero cavallo di battaglia del disco, la canzone meglio strutturata e tecnicamente impegnata: stiamo parlando, ovviamente, di “Bringer of Light”, che per un attimo ci da l’illusione che la band possa essersi riavvicinata al suo precedente modo di suonare. Canzone questa, molto complessa, con sbalzi improvvisi di ritmo, che vanno da situazioni di quiete apparente ad altre di moto frenetico, e che la rendono perciò molto intrigante all’ascolto.
“Ensemble of The Restless”, quarto e brevissimo pezzo di questo album (solo di 2:38 è, infatti, la sua durata), esordisce con un riff di chitarra assolutamente pregevole; peccato che poi si perda in un confusionario sovrapporsi di accordi, che generano una sensazione di caos generale non proprio gradevole. La parte centrale del disco è composta da tre pezzi molto veloci: “Out of Heaven”, “Young Man Nihilist” e “Year One Now”. Discrete nel complesso, niente di speciale se analizzate nel particolare però. Anonima soprattutto la seconda, che sembra buttata in tracklist così per caso, senza alcun motivo particolare: solo la performance del vocalist rende il tutto quanto meno accettabile.
Seguitando ad ascoltare il disco, troviamo “Fractures”, pezzo cui fatico a conferire una vera e propria identità, e la cui ritmica sembra forzare troppo la mano sulla melodia, che dovrebbe essere molto più lenta di quanto invece gli ostinati colpi di cassa della batteria, ad esempio, non vogliano far capire. Abbiamo poi altri due pezzi, “When It Hits Home” e “City of Ghosts”, eseguiti a pieno regime dalla batteria, con i classici e in questo caso, scontati, stravolgimenti della velocità del ritmo che esse presentano, arricchiti però da alcuni riff di chitarra molto significativi, specialmente per quanto riguarda “When It Hits Home”.
Infine troviamo “About to Die” e “Mental Twin”, più arzigogolata e frenetica la prima, con un growl eseguito in maniera casuale da L-G, quasi senza un vero e proprio filo conduttore, più melodica e incalzante la seconda, apprezzabile nel complesso e meno ripetitiva, soprattutto nel ritornello, che personalmente ritengo molto completo e corposo.
Aspettiamo fiduciosi la prossima release della band svedese, dopo la mezza delusione data dalla raccolta di cover, che la band ha pubblicato nel 2002 (Sons of Satan Praise The Lord), sperando magari, di trovare sugli scaffali del negozi qualcosa che ci faccia tornare in mente, chessò, un Wolverine Blues a caso.
Daniele “The Dark Alcatraz” Cecchini
TrackList
01. Chief Rebel Angel
02. I For An Eye
03. Bringer of Light
04. Ensemble of the Restless
05. Out of Heaven
06. Young Man Nihilist
07. Year One Now
08. Fractures
09. When It Hits Home
10. City of Ghosts
11. About to Die
12. Mental Twin