Recensione: Mothership
Il Raiden, concepito come un vascello pirata, è assolutamente apolitico e nasce dall’esigenza di creare un’entità che faccia terra bruciata attorno a sè, che accolga chi ne condivide le idee, ma che soprattutto apra le porte a chi fa ritorno dalla finta realtà del mondo attuale
È con queste parole che i Raiden, formazione abbruzzese formatasi nel 2006, descrivono se stessi, mettendo immediatamente in chiaro quali siano i loro intenti. Da sempre autori di una proposta ruvida e in your face, fortemente influenzata dai Motorhead e che spesso strizza l’occhio ad aperture punk, perfetta trasposizione in musica della definizione soprariportata, i Nostri raggiungono con Mothership, disco che ci troviamo a curare in queste righe, il traguardo della seconda prova sulla lunga distanza.
Mothership si rivela un disco articolato, in cui i Raiden esprimono il desiderio di voler evitare di rimanere ingabbiati in territori in cui, ai giorni nostri, risulta ben difficile dire qualcosa che non sia già stato detto. Proprio in questa direzione, il power trio abruzzese cerca di ampliare le proprie vedute. Partendo da una proposta che rimane fedele alle proprie origine, ai punti di riferimento citati poco sopra e che hanno sempre caratterizzato la band, i Raiden inseriscono aperture che sanno di southern rock e stoner, insaporendo il tutto con un bicchierino dal non ben precisato contenuto che, in alcune composizioni, dona un retrogusto blues, mentre in altre riporta alla mente quelle atmosfere plumbee della scena di Seattle degli anni Novanta. Un impasto sonoro ambizioso che, se non ben amalgamato, anziché ottenere consensi rischia di far storcere il naso all’ascoltatore. Un’autentica sfida, il cui esito diventa il punto focale di queste righe.
Per riuscire a comprendere se il terzettto abbruzzese sia stato in grado di superare con successo questa prova, dobbiamo addentrarci nel disco un passo alla volta. Nove sono i capitoli che compongono Mothership, nove canzoni che si ergono attorno al buon lavoro di Francesco Acerbo alla chitarra, ben supportato da una sezione ritmica sempre pronta a rappresentare al meglio le anime delle singole track. Tracce in cui i Raiden evidenziano convinzione e passione, dimostrandosi capaci di veri e propri assalti in pieno Motorhead style, episodi più cupi e introspettivi e song dal chiaro imprinting southern. Continuando il nostro ipotetico cammino all’interno di Mothership, dobbiamo però fermaci per una pausa forzata, dovuta a un piccolo sassolino accindentalmente finito all’interno di una delle nostre scarpe e che non ci permette di camminare con scioltezza. I punti di riferimento, le influenze da cui la band capitanata dal duo Acerbo–Colarossi trae ispirazione, sono facilmente riconoscibili, tanto che la sensazione del già sentito affiora in più riprese, limitando, quindi, la personalità della band. A questo va a sommarsi una certa discontinuità qualitativa, dettata da canzoni che, sebbene non originalissime, presentano una struttura curata e tracce in cui, invece, fa capolino qualche piccola ingenuità. Due aspetti che, nell’ottica di provare a rispondere al quesito posto in precedenza, rappresentano dei campanelli d’allarme. Il tentativo di amalgamare generi diversi, a volte affini, altre distanti tra loro, non riesce a dovere. Sia chiaro, non stiamo puntando il dito contro il desiderio di provare a uscire dai soliti schemi. Tutt’altro, l’idea di creare un proprio marchio di fabbrica, una proposta personale, rappresenta il fine ultimo dell’artista, quindi tali intenti destano sempre forte interesse. Quello che stiamo invece cercando di dire, è che per realizzare e rendere concreto il fine che la band si è posta, convinzione e passione non bastano. Serve anche la giusta dose di maturità che, in alcuni frangenti di questa seconda release griffata Raiden, sembra venire meno. I vari tasselli non sempre risultano incastrati a dovere e questo, secondo chi sta scrivendo, è il punto su cui la band deve e può migliorare. Le basi, sia tecniche che per quanto riguarda le idee, ci sono, bisogna però “studiare” di più per poterle sviluppare al meglio. Realizzato e raggiunto tale obiettivo, gli altri due aspetti che hanno fatto storcere il naso e che abbiamo citato in precedenza, svaniranno di conseguenza.
Come considerare dunque Mothership? Come un disco rock, di quello crudo, accompagnato da sigaro e whiskey, capace di regalare qualche canzone in cui risulterà inevitabile scapocciare ma che sulla lunga distanza, come approfondito in fase di analisi, presenta qualche ingenuità di troppo, in particolare nell’amalgama tra i vari capitoli e sfumature che lo compongono. Un lavoro frutto di una band che ha capito quale direzione deve percorrere ma che non ha ancora trovato la formula che le permetta di camminare indipendente e sicura, senza essere troppo legata ai propri punti di riferimento. Mothership, dunque, risulta un lavoro che non riesce a convincere appieno. I Raiden, però, sembrano possedere le carte giuste per poter riuscire a migliorare e migliorarsi e centrare il proprio obiettivo. Fiduciosi di quanto abbiamo appena detto, attenderemo il prossimo lavoro della band abruzzese con la speranza di non venire smentiti.
Marco Donè