Recensione: Mourning Sun
Esistono entità musicali che non si discutono, personaggi che non possono essere incatenati in alcun tipo di categoria essendo qualcosa di assolutamente a sé stanti ed al di là di ogni termine di paragone. Esistono coloro che questo termine di paragone lo sono per gli altri e Carl McCoy con la sua creatura a nome Fields Of The Nephilim rientra di diritto in questa ristrettissima schiera di eletti.
Nati nel lontano 1984 ed autori di pochi quanto significativi episodi discografici, i Fields of The Nephilim hanno rappresentato l’incarnazione più brillante della corrente dark gotica degli anni ottanta e la sublimazione del concetto di gothic-rock spirituale con risvolti filosofici ed intellettuali, arricchiti da una profonda anima esoterica, emanazione diretta della visionaria personalità del sommo leader Carl McCoy, grande esperto di occultismo ed angelologia.
Sin dal nome della band, che fa riferimento al mito arcano relativo all’esistenza della razza Nefilim (secondo leggenda, progenie creata dall’accoppiamento tra angeli caduti e donne mortali, responsabile della nascita delle civiltà Sumera e Babilonese e portatrice delle prime conoscenze tecnologiche al genere umano, in seguito distrutta dal diluvio universale), l’intento è sempre stato quello di comunicare all’ascoltatore sensazioni di grandissimo impatto visivo ed immaginifico – grazie anche ad una iconografia cowboy-vampiresca (McCoy è infatti un grande amante degli spaghetti western) – e ad un alone di misticismo estremamente palpabile nelle atmosfere evocative ed a volte spettrali comuni a tutta la loro produzione.
Come si diceva, i primi vagiti della band si perdono nel lontano 1984 con l’E.P. “Burning The Fields”, seguito poi due anni dopo dai singoli “Power” e “Preacher Man”, preludio del full lenght d’esordio “Dawnrazor” (dove lo stile “Western” è molto evidente) a cui fecero seguito nel 1988 “The Nephilm” (contente l’hit “Moonchild” e la spettralissima “Celebrate”), e nel 1990 “Elizium”) portando a compimento una sorta di viaggio spirituale che, partito da tonalità dark-rock, era giunto ad una dimensione evocativa di elevatissimo spessore, caratterizzato sempre dalla voce gutturale e profonda di McCoy, in origine piuttosto diretta e scarna, quindi profondissima e quasi “sciamanica”.
Il nulla avvolse a questo punto il nome della band, divenuta ormai in pochissimi anni un fenomeno di culto e poi sciolta per volere dello stesso leader, ormai troppo coinvolto nella proprie “visioni” per essere assecondato dal resto del gruppo; il silenzio si ruppe solo qualche anno dopo, nel 1996, con il progetto chiamato semplicemente Nefilim ed uno straordinario cd, “Zoon”, più orientato verso una commistione tra il dark gotico e certo death metal rinforzato da partiture industriali (un cd di una bellezza indescrivibile), dopodiché il silenzio divenne “tombale” consegnando alla storia il nome della band e del suo carismatico frontman.
Sul finire del 2005 invece, e non senza sorpresa, il grande McCoy ha deciso di concedere ancora per una volta un assaggio del suo grande talento e della sua incredibile maestria nel creare atmosfere uniche ed inconfondibili (è da ricordare che “Fallen”, edito nel 2002, non è mai stato riconosciuto come proprio dal singer, essendo per lo più una raccolta di b-sides ed outtakes mai avvallata o autorizzata) regalandoci questo “Mourning Sun”: inutile sottolineare che per i cultori del gruppo, un ritorno dei Fields Of The Nephilim a distanza di tanti anni è un evento non solo gradito ma quantomeno “storico”.
Perse le tracce dei vecchi compagni di avventura e divenuto il suo una sorta di “solo project”, era francamente tantissima la curiosità di ascoltare cosa aveva da proporci il talentuoso musicista inglese non senza qualche timore di restare delusi: la risposta è stata senza dubbio convincente, con un lavoro maturo e degno del suo passato, erede ideale delle atmosfere plumbee e mistiche che si assestano perfettamente a metà strada tra il meditativo e pinkfloydiano “Elizium” ed il teatrale e potente “Zoon”.
Sin da “Shroud” brano d’apertura del CD, l’ascoltatore viene catapultato in una dimensione parallela caratterizzata da sottofondi ambient di particolare drammaticità: canti gregoriani seguiti da voci evocative e spettrali lasciano spazio ad una melodia ipnotica e quasi liturgica… Fields of The Nephilim al 100%!!! Con “Straight To The Light” il discorso musicale si riannoda considerevolmente con le tonalità dell’immenso “Zoon”: McCoy è in grande forma, la sua capacità di interpretazione è davvero superlativa e la sua voce come sempre disegna affreschi gotici di straordinaria intensità. Ma è con la terza traccia “New Gold Dawn” che ogni dubbio sullo stato di salute dei Fields of The Nephilim viene definitivamente fugato. Eccellente crescendo caratterizzato da chitarra pulita e ritmica avvolgente; come sempre il frontman è grandissimo protagonista con una prova profonda e ricca di pathos a suggellare un brano degno degli antichi fasti.
L’approssimarsi di un temporale segnala il principio della quarta traccia “Requiem XIII”. L’incipit è inconfondibile ed il lento dipanarsi della trama musicale porta immediatamente alla memoria i toni liturgici e spirituali di “Elizium”. E’ la volta quindi di “Xiberia”, il brano più “industriale” del lotto, e forse anche il meno personale. La voce costantemente filtrata, è sorretta da una ritmica ossessiva e da suoni campionati che tanto mi hanno fatto ricordare quanto proposto anni fa da alcune bands del settore (Coptic Rain e Swamp Terrorist su tutte): il fatto che un brano di Carl McCoy sia debitore di influenze altrui così evidenti lo pone immediatamente nel novero dei meno riusciti.
Si riprende immediatamente quota con la superba e grandiosa “She”, pezzo in tipico stile Nefilim, dotato di un incedere maestoso e fortemente descrittivo che sfuma nella conclusiva e notturna title track. E’ ancora una volta lo sciamano McCoy a prenderci per mano e a condurci nel suo mondo fatto di grandiose visioni mistiche ed oniriche, popolato di angeli caduti dal cielo, forze oscure e silenziose presenze che con apparente distacco osservano le vicende umane pronte per un futuro ritorno terreno.
La rinascita dei Fields Of The Nephilim, alla luce di quanto ascoltato in questo “Mourning Sun”, è dunque un successo che, sebbene non in grado di bissare in toto l’esplosiva grandiosità di due pietre miliari come “Elizium” e “Zoon” (dove si rasenta la perfezione) a causa di qualche piccola caduta di tono, ci restituisce in piena salute una delle entità musicali più affascinanti ed originali dell’ultimo ventennio.
Ammetto di essere spudoratamente di parte, ma sentire il grandissimo Carl McCoy divorare i brani con il solito piglio da principe delle tenebre è per me, come sempre, un’esperienza sublime da consumarsi, preferibilmente, nelle notti più fredde ed oscure.
Come sempre grandissimo.