Recensione: Mournument
In un periodo in cui la scena doom si trova ad affrontare gravi problemi di stagnazione Marco Kehren assieme a i suoi Deinonychus può dormire sonni tranquilli. A due anni dall’ultimo release la band, ritorna a farsi sentire con Mournument: il loro quinto album che fa da sigillo ai dieci intensi anni di carriera. In tutto questo tempo sono cambiati le label, sono cambiate le compagnie, sono cambiati i luoghi ma quello che non è cambiato è la passione unita all’impegno e all’esperienza: fattori assolutamente indispensabili in un genere come questo sempre in equilibrio precario su di un sottile filo al di sotto del quale si estende, immenso, quell’oscuro baratro chiamato noia.
Ma non c’è pericolo perché i nostri su quel filo ci si trovano comodissimi, tanto da muoversi con invidiabile disinvoltura, e qualcuno alla My Kingdom Music, giovane etichetta italiana, non ha tardato ad accorgersene. Ecco così che prende vita questo meraviglioso platter per decifrare il quale serve una parola chiave importantissima: “malinconia”.
Soltanto immergendosi in questo stato d’animo è possibile apprezzarne la magnificenza. Il tempo, in questo, ci da un mano, perché periodo d’uscita migliore dell’autunno non poteva proprio esserci per esaltare adeguatamente le tristissime atmosfere dark intrise di sfumature death-gothic talvolta accompagnate da qualche nostalgica reminescenza black.
Certo che ascoltare questo cd a tutto volume alle 4:00 del mattino, sorseggiando una bottiglia di vino rosso mentre si fa il bagno, come da loro consigliato, rimane un po’ difficile, ma posso assicurare che anche all’alba riesce a creare delle sensazioni uniche: grazie ad un mood, emotivamente molto intenso, le tracce sono in grado di proiettare nella mente immagini di paesaggi silvestri, soffocati da insidiose brume a tratti sferzate da eterei aliti di vento sui quali viaggiano, quasi impercettibili, eco di lamenti lontani.
Un apocalittico pessimismo avvolge tutte le canzoni nelle quali frequentemente, emergono, parole come loneliness, funeral e lost love. Il richiamo ai titani assoluti della malinconia (My Dying Bride …of course!) è inevitabile, tanto più ascoltando gli strazianti riff delle chitarre e le partiture di basso veramente gloomy, entrambi opera del fondatore nonché mastermind del combo Marco. Egli, però, il meglio di se lo da quando si tratta di cantare: una voce profonda, sopraffatta dal dolore, ma potente e rabbiosa quando serve. Appena arrivato dai Dark Sanctuary, Arkdae, qui al suo primo debutto, con sorprendente scioltezza riesce a inserire le tastiere negli spazi giusti senza risultare troppo invadente, mentre il già rodato drummer William Sarginson (ex Cradle of Filth, December Moon e The Blood Divine) svolge il suo egregio lavoro cadenzando sapientemente i pezzi sempre con l’andatura ottimale.
Passiamo qualche piccola sbavatura qua e là e qualche riff catchy, l’unico piccolo difetto di questo album rimane proprio la bella voce del singer in alcuni momenti troppo enfatica, tanto da intaccare la credibilità del brano.
Tra le song sono assolutamente da evidenziare Salus Deceived e Odourless Alliance molto vicine allo spirito dei Katatonia di Dance Of December Souls seppure sotto aspetti diversi: se la seconda è molto grintosa e dinamica, la prima risulta invece molto malinconica e pare che con le sue urla strazianti voglia gridare tutto il suo dolore.
Ma il vero capolavoro, a mio giudizio, rimane The Obscure Process of Metamorphus: un componimento che libera quella rabbia durante tutto il cd rimasta latente per poi risopirsi trasformandosi nuovamente in disperazione.
Fra le undici song, che per essere doom scorrono con una fluidità incredibile, sul finire trova posto anche un omaggio ai grandi maestri di questo genere: i Candlemass; una cover di Ancient Dreams che seppur rivisitata secondo lo stile proprio della band non perde il suo fascino risultando molto ben riuscita.
Un lavoro, quindi, quello del trio anglo-franco-olandese, davvero ottimo, che nel suo complesso riesce a mettere a nudo la fragilità dell’animo umano che nella tristezza della solitudine gioca con i sensi di colpa venendo fagocitato da una spirale di dolore provocata da una vita senza senso che arreca solo sofferenze.
“Ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole / ed è subito sera.”
Per soli intenditori. (Altamente sconsigliato ad aspiranti suicidi!)
1. Pluto’s Ovoid Orbit
2. Salus Deceived
3. Odourless Alliance
4. Tantalised in This Labyrinth
5. The Crimson Tides – Oceans of Soliloquy pt.II
6. Selek From Menes
7. A Misleading Scenario
8. The Obscure Process of Metamorphus
9. Arrival in Mesopotamia
10. Ancient Dreams
11. Ascension – The 40th Day After Easter