Recensione: Mr. Big

Di Andrea Loi - 10 Maggio 2009 - 0:00
Mr. Big
Band: Mr. Big
Etichetta:
Genere:
Anno: 1989
Nazione:
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90

Le Origini

Se Billy Shehaan, funambolico e inarrivabile bassista dalla superba tecnica strumentale, non avesse fatto coppia alla corte di David Lee Roth con sua maestà Steve Vai (dando vita ad una delle formazioni più irripetibili che il mondo dell’hard ‘n heavy ricordi) si sarebbe potuto parlare, trattando del duo formato con l’altrettanto mago delle sei corde Paul Gilbert nei Mr.Big, come del sodalizio più carismatico e tecnicamente rappresentativo che ha calcato il panorama hard ‘n’ heavy tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90.
Che cosa succede, infatti, quando due talentuosi musicisti, accompagnati da un bravo cantante che risponde al nome di Eric Martin, e con il supporto del validissimo Pat Torpey alle pelli col compito di dare il giusto equilibrio, uniscono le loro sinergie e incrociano gli strumenti?
Teoricamente di tutto.

Piccola premessa: le band all-stars sovente hanno sofferto di difficile convivenza e altrettanto sovente la vena creativa che ne derivava non era all’altezza della fama dei personaggi coinvolti.
Molti furono infatti gli scettici che di conseguenza aspettavano il gruppo al varco, ritenendo impossibile una amalgama in grado di tenere a galla le sorti dei quattro.
Tuttavia il progetto Mr.Big, che vide la luce verso la fine del 1988, nacque sotto una buona stella e il fatto che il sodalizio fosse stato pianificato a tavolino da Mike Varney, fu un dettaglio alla resa dei conti trascurabile.
Prodotto dall’allora “prezzemolino” Kevin Elson, l’album non ebbe, almeno all’inizio, riscontri commerciali significativi (una modesta 46a posizione su Billboard, il picco massimo raggiunto) ma le attese non furono vane e i Mr.Big conquistarono col tempo il “posto al sole” e l’attenzione di tutti i magazines specializzati.

Anche se l’appuntamento col capolavoro era appena rimandato al successivo “Lean into it”, la qualità e l’esplosività dei pezzi proposti si abbeverava alla fonte dell’hard rock più schietto, gioviale e sincero, con chiare contaminazioni e riferimenti alle dinamiche tipiche dei seventies, arricchite da echi di matrice blues che vedevano soprattutto nei Free dell’immenso Paul Rodgers la principale musa ispiratrice (a proposito, il monicker “Mr. Big” è un omaggio a una canzone degli stessi Free).
Il sound beneficiava in maniera determinante di questo mix, dando la giusta dimensione soprattutto alla voce “sofferta” e sgraziata dello stesso Martin.

Il Disco

“Addicted to That Rush” apre le danze: deflagrante e briosa, rappresenta un efficace manifesto non solo dell’album, ma di tutta la carriera a venire del gruppo. Grintosa nelle vocals, si rivela spassosa e sbalorditiva nell’esposizione tecnica, laddove il funambolismo del duo Sheehan-Gilbert sprigiona tutta la propria eleganza in frenetici virtuosisimi, favorendo un ipotetico parallelo con “Strange Kind of Woman” nel “Made in Japan” dei Deep Purple, in cui era però la voce di Gillan a duellare con la chitarra.
Chi “soccomberà”? E’ presto per dirlo perchè “Wind me up” non lascia il tempo di respirare.
Lo stesso Torpey non si fa certo pregare: un drumming incensante, accompagna le splendide divagazioni soul dei vocalizzi di Martin, piacevolmente sopra le righe. “Merciless” è sempre su territori “no compromise”, aggressiva e monolitica nell’esecuzione e portentosa nelle parti solistiche, con ritmiche che mettono in evidenza una solidità strumentale fuori dall’ordinario. Dopo il trittico iniziale da infarto, “Had Enough”, composta da Sheehan, è il giusto diversivo per mostrare l’anima più intimista del gruppo. Un mid-tempo piacevolmente “easy listening” intriso di un buon feeling.
“Blame It on My Youth” và direttamente a pescare nella tradizione più acidula e “oscura” del rock “made in seventies” con risonanze nuovamente di stampo soul, mentre “Take walk”/ svela il carattere più heavy della band. Fraseggi granitici e compatti in cui la “sregolata” voce di Martin, da urlatore consumato, è più che un valore aggiunto.
Discorso diverso per “Big love”, in cui la perenne irruenza chitarra/basso, vero leit-motif di tutto il full-length, ci prospetta una tregua: piacevolmente leziosa ed “easy”, è la giusta e sacrosanta concessione al mainstream, come pure l’esaltante “How Can You Do What You Do”, dal chorus trascinante e avvincente.
L’album chiude in crescendo. Se “Anything for You” è una ballad strappa-lacrime, sdolcinata ma comunque piacevole nel delicato ed elegante chitarrismo di Gilbert, “Rock And Roll Over “ è in assoluto tra i pezzi migliori dell’album.
Il ritmo sale vertiginosamente: Sheehan e Gilbert riprendono a rincorrersi e ad intrecciare i loro virtuosismi.
A conti fatti, risulteranno tutti e due vincitori, regalandoci una prestazione indicativa del loro valore supremo di musicisti e ponendo la firma definitiva sul primo capitolo di quella che, nel giro di pochi anni, sarebbe divenuta una leggenda assoluta nell’ambito dell’hard rock internazionale.

Adesso, pronti per la reunion. Si riparte.

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Tracklist:

01. Addicted to That Rush (Gilbert, Sheehan, Torpey) 4:46
02. Wind Me Up (Martin, Gilbert, Torpey) 4:11
03. Merciless (Gilbert, Martin, Torpey) 3:57
04. Had Enough (Sheehan) 4:57
05. Blame It on My Youth (Gilbert, Martin, Sheehan) 4:14
06. Take a Walk (Gilbert, Martin, Sheehan) 3:57
07. Big Love (Martin) 4:49
08. How Can You Do What You Do (Cain, Martin) 3:58
09. Anything for You (Gilbert, Martin, Sheehan) 4:37
10. Rock And Roll Over (Martin) 3:50

Line Up:

Eric Martin – Voce
Paul Gilbert – Chitarra
Billy Sheehan – Basso
Pat Torpey – Batteria

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