Recensione: MSG

Di Abbadon - 14 Ottobre 2004 - 0:00
MSG
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Anno: 1981
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85

Siamo nell’anno di grazia 1981 e, nell’anno due dal suo ritorno sulle scene, ricompare Michael Schenker alla testa del suo, omonimo, gruppo solista. Forti dell’eccellente esordio “The Michael Schenker Group”, gli appunto Michael Schenker Group (che chiameremo MSG per comodità), se ne escono dunque col sophomore-album, che viene intitolato MSG (la fantasia nei titoli inizierà col terzo disco). Al contrario di quanto dicano i due nomi, i due prodotti non si assomigliano in modo così stretto, soprattutto (le tematiche sono tuttalpiù secondarie) nel sound. Lo stile molto secco, pazzo e ricco di “picchi e di valli” (per indicare gli estremi raggiunti dalla 6 corde del nostro) viene a tratti abbandonato per un sound più rotondo nei tratti salienti, più moderno e volendo anche avanti rispetto ai suoi tempi (molti inizieranno a miscelare così chitarre e tastiere diversi anni dopo). Questo cambio (che per inciso non pregiudica affatto il livello del risultato finale) è reso possibile anche grazie al cambio di formazione Essa infatti si presenta piuttosto differente rispetto a quella dell’anno prima, visto che all’appello mancano ben tre quinti degli artisti presenti in “The Michael Schenker Group”. Confermatissimo, ovviamente, Schenker, confermata la sua fidata spalla Gary Bardens (però all’ultimo atto con il folle della 6 corde, mi spiace), spariscono Simon Philips (che a me, personalmente, era piaciuto molto a livello esecutivo), Don Airey e Mo Foster, che vengono rimpiazzati, rispettivamente dietro le pelli, alla tastiera e al basso, da elementi che rispondono “semplicemente” ai nomi di Chris Glen (che forse a tanti risulta sconosciuto, ma già godeva di una decennale carriera rock di buon livello), Paul Raymond (con Michael in alcuni fra i migliori dischi degli UFO) e Cozy Powell, che non più di un lustro prima era batterista di tali Rainbow. Se l’apporto dei tre a mio avviso non è (esecutivamente) poi così trascendentale, viste le prove (soprattutto la batteria) dei precedenti artisti, è altrettanto vero che Chris, Paul e Cozy, oltre a portare un possente bagaglio in termini di esperienza, esperienza che pagherà anche in termini futuri, rinforzano parecchio la vena compositiva, dove peraltro continua a dominare l’asse vincente Schenker-Bardens. La prima delle 8 tracce che ci viene proposta è la ritmatissima ma sostanzialmente “tranquilla” “Ready to Rock”. Subito si nota una notevole pulizia sonora e la Flying V che domina in lungo e in largo, con dei riff tutto sommato semplici ma non per questo meno belli e godibili. Fanno la loro bella presentazione i due nuovi arrivati (non raymond, che salirà in cattedra fra un po’) e soprattutto mi piace il cantato, che dimostra a mio avviso un Gary un po’ meno gracchiante e più maturo rispetto a quello pur buono dell’anno prima. La song prosegue briosa per circa 3 minuti e mezzo, quando su un “Are you Ready” si chiude per lasciare immediatamente spazio alla per me favolosa “Attack of the Mad Axeman”, testimonianza e perfetto riassunto dell’essenza del suo principale ideatore. L’attacco elettrico è semplicemente favoloso, di una pulizia disarmante per giunta, pulizia che viene presto assorbita da un gigantesco gioco chiatarra/basso. Proprio il basso, molto udibile, fa la parte del leone, ma in generale anche qui tutto è ben miscelato. Semplicemente magistrale il cambio di tempo che spacca in due la song, nel vero senso del termine. Infatti l’ingresso della tastiera, nel tratto lento, porta una poesia che difficilmente si sarebbe potuta immaginare fino a lì. Ma non è certo finita : un altro cambio di tempo introduce infatti un rude, selvaggio, eppur magnifico, assolo, che completa una componimento spaziale per chi ama l’hard rock. Un inizio dolce ma carico di ansie (comandate da Raymond) ci introduce malinconicamente  nella invece eccellente e vivace “On and On”. A dire il vero si ha spesso l’alternanza fra la sfacciatezza della chitarra e della batteria, che dominano le strofe, e la mellifluità dei ritornelli, guidati dalle tastiere, ma tutto ciò non è affatto un male e si rivela anzi un gran bel diversivo, che rende intrigante la brano. Splendide a mio avviso sia la voce che, soprattutto, le backing, davvero efficaci in ogni frangente. Piuttosto simile e di altrettanta gran classe (forse la caratteristica dominante del disco) è pure il mid tempo “Let Sleeping Dogs Lie” che, seppur in chiave un po’ meno marcata, ripropone l’alternanza ritmico/melodica di prima (molto bene peraltro). La sostanziale differenza sta nel fatto che qui le keyboards dominano dall’inizio alla fine, rimanendo perfettamente udibili benchè sullo sfondo (il primo vero esperimento avanti coi tempi di cui parlavo all’inizio). E su quest’ondata melodica non poteva che aggiungersi altra melodia, che si concretizza nella epica e medievaleggiante introduzione di “But I Want More”. Il trio tastiera/arpeggio/coretti non fa altro che affascinare ed irretire l’ascoltatore, che si trova però poi catapultato in un brano che alterna, con ottimi cambi di tempo, molte differenti velocità, esibendo un sound ne più ne meno simile a quello sentito finora. Anche qui si ha una gran bella sovrapposizione fra keyboards e strumenti ritmici (come detto sopra, ripeto : dalla terza song in poi questa dualità sarà il leit motiv di MSG) e, più in generale, un’ottima prova da parte di tutto il quintetto, che raggiunge lo zenith in un lento assolo (il primo, visto che il secondo è altrettanto bello ma piuttosto diverso) che ricorda tanto l’atmosfera dell’attacco. Dicevo poche righe sopra (in questa recensione non faccio altro che ripetermi): tanta melodia non può che portare altra melodia, ed eccola concretizzata nel bel lento “Never trust a Stranger”, lento scritto dal solo Raymond che alterna un misto di commozione a tanti barlumi di belle speranze ancora in gioco. Maiuscola prova di tutti, Paul e Michael in primis, ma mi pare un eufemismo ricordarlo. Altro titolo da ballad, ma track invece parecchio tirata e pressante è “Looking for Love”, a mio avviso uno dei componimenti più briosi e meglio riusciti dell’intero platter. La fusione fra strumenti “classici” ed elettronici ha qui il suo culmine (a tratti mi sembra un pezzo degno di fare la sua grande figura su “Turbo” dei Priest, uscito però un lustro dopo). Clamoroso nella sua semplicità ma nella contemporanea esplosività il refrain, veramente da urlare ai 4 venti. Dopo questa sferzata di energia positiva, arriva, come prima o poi deve succedere, il momento di calare il sipario. A calarlo ci pensa la tranquilla ma decisa “Secodary Motion”, anch’essa estremamente moderna, suonata bene, e che certo non sfigura un disco iniziato ottimamente e finito addirittura in crescendo, testimonianza questa di una grande band. Che dire, 8 song per un risultato stupefacente. Abbandonata in parte l’irruenza dell’anno prima, con “MSG” il buon Michele e i suoi ragazzi dimostrano quando si possa essere versatili sul piano sonoro senza però perdere un minimo di feeling ed appeal, fattore che in ben pochi possono vantare. Dunque fantastico disco, fantastici artisti, fantastico un tutt’uno che considero, diversamente ma allo stesso tempo similarmente al precedente, il miglior prodotto in studio del Michael Schenker Group.

Riccardo “Abbadon” Mezzera

Tracklist :
1) Ready to rock
2) Attack of the Mad Axeman
3) On and On
4) Let Sleeping Dogs Lie
5) But I want more
6) Never trust a Stranger
7) Looking for Love
8) Secondary Motion
 

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Genere:
Anno: 1981
85