Recensione: Murphy’s Law
Virtuoso chitarrista austriaco non molto noto al grande pubblico, Milan Polak vanta numerose collaborazioni con eminenti personalità della scena hard rock e metal internazionale, oltre ad una discreta discografia composta sinora da tre album (dei quali i primi due interamente strumentali), incentrati sull’estro tecnico ben miscelato con soluzioni comunque accessibili e di facile fruizione, così come messo in grande evidenza con “Straight” nel corso del 2007.
“Murphy’s Law”, quarto prodotto dal significativo titolo, è un’ulteriore progressione di Polak verso uno stile personale ed al passo coi tempi, sempre più incentrato su di una forma di hard rock solido e roccioso dal taglio alquanto moderno, in cui non è difficile scovare coordinate affini al post grunge, spruzzate prog ed alcune attitudini a cavallo tra funk e rombante hard da “strada”, in una ricetta che, pur lontana da vette di particolare eccellenza, porta comunque a casa risultati sufficienti a decretarne un successo più che dignitoso.
In possesso di buona voce, oltre alle già manifesta bravura con la sei corde, Polak intesse una serie di tracce dal sapore contemporaneo – in cui i testi giocano un ruolo fondamentale – talora occhieggianti alla melodia, ma molto più spesso, ruvide e quadrate. La produzione, ben assestata seppur di “routine”, aiuta a conferire al disco un’atmosfera molto sincera, accrescendo l’idea di avere a che fare con un album “concreto” e verace, pensato con uno stile – musicale e di narrazione – che un po’ ricorda il modus operandi del vecchio Henry Rollins.
Aiuta immediatamente ad entrare nello spirito adeguato la corposa title track posta in apertura, concentrato d’accordi e cadenze squadrate, su cui si stagliano di quando in quando, gli assoli al fulmicotone dell’ottimo guitar hero viennese. Ma è con tracce meno “spaccone” e più meditate come “Losing Me” (dagli accenni quasi southern), la successiva e più edulcorata “Torn” e la elaborata “Fake”, che il songwriting rivela effettive doti di qualità, mettendo sul piatto idee di ottimo gusto in grado di far convivere l’esuberanza degli Stuck Mojo con aperture melodiche e spunti dall’incedere funkeggiante, all’insegna di una varietà stilistica dagli effetti alquanto piacevoli.
In mezzo tanta sostanza e qualche inevitabile colpo a vuoto, ascrivibile in particolare alle monotone “Inner Truth” e “Sheeple”, quest’ultima, inspiegabilmente scelta per il lancio del disco. Molti i brani grintosi, scolpiti nella roccia e dall’evidente muscolosità, realizzati con buone dosi di raffinatezza e l’immancabile verve chitarristica, soggetto principale di tutte le composizioni.
Ottimi ed arguti, come detto, i testi e di sicura affidabilità anche la prova dei collaboratori scelti per questo nuovo capitolo discografico. Fabio Trentini al basso (anche produttore) e Simon Michael alla batteria, provvedono ad una sezione ritmica efficace e priva di sbavature, supporto ideale per le svisate e le invenzioni del bravo Polak.
Smentendo fortunatamente la legge di Murphy che ammonisce dicendo “Se qualcosa può andar male, lo farà”, il nuovo album del virtuoso austriaco invece “non va affatto male”, presentandosi con qualche momento forse di minor spessore, ma ugualmente fornito d’episodi interessanti ed ispirati.
Non un disco miracoloso dunque. Ma nemmeno un prodotto di scarso profilo o risicata valenza artistica che ai fan del rock duro e dall’attitudine moderna, potrebbe piacere senza troppe riserve.
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Tracklist:
01. Murphy’s Law
02. No God
03. Inner Truth
04. Losing Me
05. Wannabes
06. The Opposite Of Love
07. Sheeple
08. Torn
09. Alien Nation
10. Fake
11. The Mystery Of Life.
Line Up:
Milan Polak – Voce / Chitarre / Cori
Fabio Trentini – Basso / Samplers / Minimoog
Simon Michael – Batteria