Recensione: My Father’s Son
Disco solista per Jani Liimatainen, chitarrista finlandese fondatore dei Sonata Artica, band nella quale ha militato fino al suo abbandono nel 2007. Dopo di allora Jani non è stato certo con le mani in mano: al momento è impegnato con The Dark Element ed Insomnium senza contare le numerose collaborazioni e partecipazioni a cui l’axe man finlandese ha preso parte.
Forte di queste esperienze, Liimatainen ha colto l’opportunità di proporre una sua opera solista raccogliendo una squadra di colleghi ed amici conosciuti durante i suoi anni di intensa militanza. Edito da Frontiers Music e disponibile sugli scaffali dal 6 maggio, per questo “My Father’s Son” il chitarrista scandinavo ha raggruppato una serie di musicisti di prim’ordine. Jonas Kuhlberg al basso, (MyGrain oltre che suo compagno nei Dark Element), Rolf Pilve alla batteria, (Stratovarius, Solution 45) oltre a Liimatainen stesso ad occuparsi della chitarra e tastiere.
Infine una serie di cantanti più o meno noti della scena mondiale che si alternano a dar corpo alle varie canzoni in scaletta.
Le danze si aprono con “Breathing Divinity” affidata alla voce di Björn “Speed” Strid (Soilwork, The Night Flight Orchestra), un mid tempo evocativo dalle atmosfere prog. Poi si passa a “All Dreams Are Born To Die“, pezzo in cui affiora il passato nei Sonata Artica: non per niente al microfono troviamo proprio Tony Kakko, singer assieme al quale viene elaborato un brano più veloce, con riff pirotecnici ed una doppia cassa rombante che non tarderà a richiamare alla mente la band autrice di Ecliptica e Winterheart’s Guild. Nel pezzo poi è presente un assolo di tastiere ad opera di Jens Johansson, membro storico degli Stratovarius che vanta collaborazioni con mostri sacri come Malmsteen, Ronnie James Dio e Rainbow.
Arriva il turno dell’ospite da oltre oceano: ovvero il fenomenale Renan Zonta, astro nascente del panorama brasiliano oltre che vocalist di Electric Mob e Brother Against Brother. Con la collaborazione del cantante carioca, Jani si discosta dal power per affrontare in “What Do You Want” delle atmosfere più hard rock che ben si sposano con la voce calda di Zonta, apprezzabile anche su “The Music Box“. Una ballad a trama pianistica sempre con la voce di Zonta in evidenza ed un assolo dal sapore blues di Liimatainen. Interessante notare come, pur trattandosi dell’opera solista di un chitarrista, gli assoli di chitarra e le acrobazie strumentali abbiano un ruolo marginale: tutto sommato una scelta appropriata in questo contesto. Dosando nella giusta maniera le proprie abilità compositive e le prestazioni dei suoi ospiti, il chitarrista finlandese pare non voler rubare troppo spazio.
Si arriva poi ad un altro nome di spicco come Timo Kotipelto, alle prese con “Who Are We” – una ballad pacata e meditativa – e “Into The Fray“, un mid tempo alla Stratovarius con un andamento malinconico e solenne in cui affiorano puntate vicine al symphonic metal.
Un episodio interessante di questo album è poi “Side By Side” affidata alla voce di Pekka Heino (Leverage, Brother Firetribe), un metal melodico che mescola gli Angra agli Avantasia ed in mezzo al quale si inserisce un assolo di sassofono ad opera di Janne Huttunen. Uno strumento forse un po’ inedito per la scena metal che in questo contesto contribuisce a dare il giusto phatos al brano.
In “I Could Stop Now“, Jani Liimatainen percorre i sentieri del folk avvalendosi della talentuosa vocalist Anette Olzon che con la sua caratteristica voce sensuale fa decollare il pezzo.
“Haunted House” vede questa volta lo stesso Jani Liimatainen cimentarsi al microfono e accantonare per un po’ la chitarra in favore delle tastiere, con una ballad impregnata di tipica malinconia finlandese.
Una sensazione quest’ultima con la quale identifico quelle atmosfere che si percepiscono in molti lavori di formazioni finniche come Stratovarius, Sonata Arctica, Omnium Gatherum o Wintersun, solo per citarne alcuni.
Non so dire se questa sia solo un’impressione personale o se effettivamente il fatto di vivere nei paesi scandinavi, fra clima rigido, paesaggi suggestivi e sei mesi di buio all’anno possa in qualche modo influenzare le composizioni. Fatto sta che, specie nei gruppi finlandesi, spesso capita d’avvertire un sottile senso di malinconia: una condizione ed uno stato d’animo ampiamente percettibili anche in “My Father’s Son“.
In conclusione la title track, con ospite Antti Railio che presta la voce ad una lunga suite di undici minuti di metal melodico ricco di atmosfere e cambi di tempo con il quale Liimatainen e la sua nutrita schiera di ospiti si congedano dall’ascoltatore.
“My Father’s Son” è un disco che pur senza dire niente di nuovo risulta abbastanza vario, grazie anche alla scelta indovinata di avvalersi di più cantanti. Un album in cui il mastermind Liimatainen lascia agli ospiti una certa libertà espressiva, pur imprimendo ad ogni brano una propria identità musicale. Un mix di power, sfumature prog, puntate di hard rock e metal melodico ben amalgamati secondo la scuola nord europea. Soprattutto, sapientemente arrangiato con esperienza dal chitarrista finnico che, grazie ai numerosi guest, molto mestiere ed indubitabili abilità, confeziona un prodotto di buona fattura che si lascia ascoltare ben volentieri.