Recensione: My Syndrome
Dalle note del promoter Irukandji Booking Live: “Il progetto musicale non prevede la chitarra”. Brividooo!!! E cosa useranno i calabresi Sharada per sostituire lo strumento che, una volta elettrificato, ha consentito la nascita del Rock ‘N’ Roll e di tutti i suoi derivati? Un clavicembalo, un’arpa … o montagne di magniloquenti orchestrazioni? Dubbio, ma anche viva curiosità, impongono l’ascolto di ‘My Syndrome’, loro secondo album pubblicato il 3 agosto 2023 tramite Glory Hunter Records.
La band è formata da Vincenzo Perri, voce, Stefano Lo Iacono, basso e Giovanni Calò, batteria, un po’ meno di un Power Trio, mancando la chitarra, un duo e tre quarti, diciamo … ma quello che fanno… bè, non ne fa sentire affatto la mancanza.
Il far fare al basso tutto il lavoro cordofono, supportandolo con una batteria iper rocambolesca, rende il sound di questi ragazzi nero, super pesante e denso quanto l’osmio, questa è una delle loro caratteristiche: un Wall of Sound dalle tessiture fitte ed impenetrabili.
L’altra è la voce: tragica quanto irritata e determinata, a tratti affascinante e vagamente ipnotica … molto teatrale, insomma, soprattutto controllata, mai fuori dal contesto o troppo protagonista, particolarmente adatta al genere proposto.
Ma quale genere suonano gli Sharada? Per noi metallari maniaci del catalogo questo è un problema: un misto di Grunge/Alternative/Sludge e Stoner con influssi Heavy Metal, Hard Rock anni ’70 e Punk… ed il Black Symphonic Death Thrash? No, quello non c’è.
A parte gli scherzi, quello che fanno questi musicisti, che non posso che dire straordinari, è prendere un po’ tutta quella parte della musica dura che è particolarmente sporca, nera e disturbante, ma non estrema, e renderla un qualcosa di peculiare, non attraverso la novità, che di fatto non c’è, ma attraverso la loro forte personalità.
Di fatto riescono a rendere completo, ed anche sofisticato, un suono ‘minimale’ e senza fronzoli, nel quale qualsiasi altra cosa sarebbe stata un di più e fuori luogo. Si faccia caso, ad esempio, ai cori ed alle urla in sottofondo qua e là nei pezzi: dirette ed efficaci, fanno da riempimento meglio delle tastiere che si usano abitualmente.
La tracklist è particolarmente varia: si passa dalla disperazione seduttiva insita nel Grunge della durissima ‘My Syndrome’ al tiro spedito del nero Rock ‘N’ Roll di ‘Veronica’, dalla cadenza oppressiva di ‘Life is Death’, un pò Black Sabbath ed un pò Led Zeppelin, alla ritmica molesta e magnetica della tragica ‘Cold Water’ fino ai suoni fastidiosi della vivace e spedita ‘Routine’.
Infonde angosciosa tristezza la ruvida ‘Killer in You’ mentre i tratti più “morbidi” di ‘Cement’ ricordano un maturo Lenny Kravitz (qui la prova vocale di Vincenzo raggiunge livelli parecchio alti). L’album si chiude con il Punk/Hardcore di ‘Speed’, forte ed incisivo.
Per quanto riguarda la produzione e gli arrangiamenti, non è stato trascurato nulla: il suono risulta pulito ma anche rude, con un giusto gusto “retrò” che rende tutto pesante senza però affossare gli strumenti, dando una chiara idea della potenza live di questa band, che in tre anni ha girato parecchio, comparendo in alcuni festival ed aprendo per band come Mortado, Crisalide, i veterani Crying Steel e Touch of Evil.
Insomma, ‘My Syndrome’ mostra una band concreta e con le idee chiare, pronta ad uscire dall’ordinario per trovare il suo posto nel panorama nostrano ma anche internazionale. Attendiamo, con viva curiosità, il prossimo lavoro.