Recensione: My Way
“For what is a man, what has he got?
If not himself, then he has naught”
‘My Way’
Ho cominciato ad ascoltare musica molto presto, mettendo sul giradischi i vinili che mio papà aveva portato dall’America, quando ancora navigava.
Più che altro Jazz (e che Jazz!!!), ma anche del sano Rock ‘N’ Roll anni ’50.
Con quello ho cominciato a capire che della musica era soprattutto la velocità a piacermi … accidenti, ero sempre alla ricerca di qualcosa di più veloce: ‘Blue Suede Shoes’, ‘Rock And Roll Around The Clock’ (la prima sigla di ‘Happy Days’, tra l’altro), ‘Proud Mary’ tutta roba dal buon tiro … ma io cercavo qualcosa di ancora più veloce.
Per fortuna un mio vicino di casa ascoltava AC/DC, Deep Purple, Led Zeppelin: con ‘If Tou Want Blood (You’ve Goy it)’, ‘Higway Star’ e ‘Rock ‘N’ Roll’ ho capito quale era la mia strada, musicalmente parlando.
Strada che ho cominciato definitivamente a percorre quando ho conosciuto gli Iron Maiden: l’andatura di ‘Killers’ mi ha folgorato e poi quel termine, ‘Heavy Metal’, cavolo, ci stava proprio bene.
E’ stato un attimo: Scorpions, Riot, Judas Priest, Motorhead e … i tedeschi Accept.
Ho appiattito i solchi di ‘Restless and Wild’ tanto l’ho ascoltato: un perfetto assieme di velocità e grinta allo stato liquido. Grinta materializzata dalla forte personalità di Udo e dalla sua voce perennemente prepotente e decisa.
Per quanto abituato alle voci graffianti di Brian Johnson e di Lemmy, la carica di estrema rabbia che usciva dalla sua ugola mi colpiva ogni volta come un maglio.
Nel 1984, dopo 15 anni di carriera all’insegna del più inossidabile True Metal, gli Accept cominciano a cedere: c’è chi è stanco (ad esempio, Peter Baltes dichiarerà poi, in un’intervista, che non sopportava più le prove di headbanging senza musica a cui era sottoposto – le tre teste dei chitarristi che sbattevano a suon di musica era un loro marchio distintivo) e c’è chi comincia a guardare il florido mercato americano, dove le band che vanno sono Guns N’ Roses, Skid Row, Motley Crue, Cinderella, ecc..
Nel 1986, dopo la pubblicazione del mitico ‘Russian Roulette’, il cantante lascia la band, gli Accept assumono al suo posto David Reece, guarda caso d’origine statunitense, e pubblicano, nel 1989, ‘Eat The Heat’, prendendo la direzione delle band di cui sopra, per poi purtroppo sciogliersi nello stesso anno per troppe divergenze.
Una delle cause della separazione è proprio l’incrollabile fede di Udo verso quell’Heavy Metal di cui lui stesso è stato un pioniere. In quel periodo gli Accept avevano un buon seguito, ma lui ha preferito rischiare, pur di rimanere se stesso, mettendo assieme una nuova band, gli U.D.O.
Dal 1987 (anno di uscita del debutto ‘Animal House’) gli U.D.O. hanno pubblicato 18 album e 7 live, suonato ovunque (ricordiamo la loro calata in Italia del 17 aprile 1989, di spalla ad Ozzy Osbourne durante il ‘No Rest For The Wicked Tour’ – che tempi ragazzi!!! Lasciatemelo dire), con Udo che è ancora rientrato nei riformati Accept dal 1992 al 1995 (pubblicando i tre album ‘Objection Ovveruled’, ‘Death Row’ e ‘Predator’) e poi nel 2005, più una miriade di collaborazioni tra le quali citiamo quelle con Doro, gli Hammerfall, i Kissin’ Dynamite ed i Raven, tra le tanti.
Certo, non sempre ha fatto centro, più di un lavoro è controverso ed ogni tanto si è ripetuto, ma quello che è inequivocabile è che Udo è diventato un’icona senza mai piegarsi alle mode od ai tempi, evitando scandali od altri eccessi e parlando solo attraverso la propria musica.
Tutto questo pistolotto per anticipare che Udo, quest’anno, ha spento ben 70 roventi candeline.
Un bel traguardo direi, festeggiato pubblicando ‘My Way’, nuovo album, questa volta inciso semplicemente come Udo Dirkschneider e disponibile dal 22 aprile 2022 via Atomic Fire Records.
‘My Way’ è un Full Length di sole cover la cui particolarità sta nella grandiosità dei pezzi scelti.
Udo omaggia artisti che lo hanno ispirato o che ascoltava da giovane o che comunque andavano in quel periodo, con brani pubblicati tra il 1966 ed il 1985, con solo ‘Kein Zurück’ del 2003.
C’è tanto di quello che splendeva in quel periodo: ‘Man on the Silver Mountain’ dei Rainbow (1975), ‘No Class’ dei Motorhead (1979), ‘Paint it Black’ dei Rolling Stones (1966), ed anche ‘We Will Rock You’ dei Queen (1977), giusto per citarne alcune, per non parlare di ‘My Way’ di Frank Sinatra, canzone di cui a noi metallari importa forse poco (tranne che della dissacrante versione di Sid Vicious del 1978) ma di cui non possiamo non riconoscerne la grandiosità.
Caratteristica distintiva di queste cover è che Udo rimane sempre Udo, per cui le adatta al proprio stile rispettando, al contempo, gli artisti che le hanno scritte e rese celebri.
Non entra in competizione con nessuno dei grandi cantanti, né con Ronnie James Dio, né con Freddie Mercury o con Robert Plant, tantomeno con Rob Halford o Frank Sinatra e non cerca di far delle versioni migliori delle loro opere … in qualche modo quest’album trasmette (almeno al sottoscritto) la consapevolezza che questo non è possibile.
‘My Way’ va preso per quello che è: una raccolta di grandi brani del passato che Udo si diverte a cantare secondo la propria indole: l’album è pieno del suo Heavy Metal di sempre, solido, melodico, con i cori potenti, gli assoli taglienti e, soprattutto, la sua voce unica, irosa e prepotente. Neanche in questo caso Udo cede e prova ad essere qualcun altro. Se non si conoscessero i pezzi (cosa impossibile anche a chi vive su Marte) lo si potrebbe prendere benissimo per un suo nuovo album di inediti.
Particolarmente efficaci la versioni di ‘The Call It Nutbush’ (che, io, sinceramente conoscevo come ‘Nutbush City Limits’), con tanto di fiati ad evidenziare l’anima Rock ‘N’ Roll di questo gran pezzo della Acid Queen Tina Turner, di ‘Hell Raiser’ degli Sweet, dove Udo unisce alla sua tipica rabbia anche l’irriverenza di Brian Connolly, della sparatissima ‘Rock ‘N’ Roll’, che è un inno a tutti gli effetti e, facendo inferocire i fan irriducibili dei Queen, della già citata ‘We Will Rock You’, inizialmente irriconoscibile, senza gli iconici tamburi e con un tiro più prossimo a quello che si sente sul ‘Live Killers’ (parecchi enfatici i cori e divertentissimo il video).
Coinvolgenti le versioni di ‘Hell Bent For Leather’ dei ‘colleghi’ Judas Priest e di ‘He’s a Woman, She’s a Man’ dei connazionali Scorpions e molto energiche la versione di ‘T.N.T.’ (ciao Bon!) e dell’inaspettata e durissima versione di ‘Kein Zurück’ del gruppo Synthpop Wolfsheim, come già scritto unico pezzo post 2000.
Infine, colpisce la dolcezza malinconica della conclusiva ‘My Way’, dove la rabbia di Udo si placa per fare un sunto di quella che può essere stata la sua carriera/vita.
Anche se ‘la fine’ non è ancora così vicina eh!!!!, vogliamo sentirlo ancora!
Partecipano a ‘My Way’ musicisti di gran calibro come Peter Koobs, Stefan Kaufmann e Peter Baltes, mentre dietro la batteria siede Sven Dirkschneider, figlio di Udo, che ha suonato anche con i mitici Saxon.
Udo è una leggenda. Molte delle canzoni di ‘My Way’ sono leggende. Meglio di così …