Recensione: Mystai Keltoy
A un anno esatto dall’interessante debutto “Blood over Intents” tornano in scena i friulani Celtic Hills. E lo fanno nell’unico modo in cui i “difensori della fede” sanno esprimersi: con tonnellate di acciaio tonante! “Mystai Keltoy”, questo il titolo della seconda prova sulla lunga distanza del combo friulano, è infatti un autentico proclama alla causa dell’heavy metal, nelle sue sonorità più classiche ed epiche.
“Mystai Keltoy” è un concept album con cui i Celtic Hills dimostrano, una volta in più, di essere fortemente legati alle proprie radici, alle tradizioni della terra in cui sono nati e cresciuti. Il disco, infatti, è incentrato sulle leggende delle antiche popolazioni che abitarono la zona del Friuli e della Carnia. In questo lavoro, poi, i Nostri si addentrano senza timore in quelle storie, andando a toccare anche il lato più oscuro e misterioso del folclore di quell’area. Secondo alcuni racconti, infatti, i primi colonizzatori arrivarono dallo spazio. “Mystai Keltoy” può quindi essere considerato una sorta di viaggio, affascinante, alla riscoperta delle tradizioni di un territorio, in continuo bilico tra verità e leggenda, realtà e mistero. Tutti questi elementi trovano rappresentazione nella copertina realizzata da Sheila Franco, amica di lunga data del chitarrista-cantante Jonathan Vanderbilt e dei suoi Celtic Hills. Soffermandoci sul lato prettamente musicale, “Mystai Keltoy”, come detto in precedenza, è un autentico inno all’heavy metal, dalla forte connotazione epica e maestosa. In questo lavoro i Celtic Hills dimostrano di possedere una spiccata personalità, mettendo a segno una serie di composizioni convincenti sotto ogni punto di vista. I Nostri esibiscono una proposta coinvolgente, che si muove su dei binari variegati, in cui trovano spazio heavy, power e alcune soluzioni che possono riportare alla mente gli Amon Amarth. Ci imbattiamo così in tracce epiche e d’impatto, come ‘The 7-Headed Dragon of Osoppo’, l’evocativa ‘The Tomorrow of Our Sons’ – uno degli assoluti highlight di “Mystai Keltoy” – e la melodica e aggressiva ‘Already Lost’. E non a caso abbiamo citato queste tre canzoni: per certi aspetti rappresentano le composizioni che racchiudono e descrivono al meglio le varie anime che vanno a comporre l’album. Quello che più impressiona durante l’ascolto è la convinzione, la fede, il credo che Vanderbilt e i suoi mettono in ogni singola nota del disco. Il primo termine di paragone che mi viene in mente sono gli Slough Feg, e non per un’assonanza nella proposta musicale che, anzi, dista molte miglia, ma per la convinzione che contraddistingue entrambe le formazioni. “Mystai Keltoy” risulta quindi piacevole e coinvolgente nell’ascolto, mostrando di possedere tutte le qualità per poter diventare un lavoro culto dell’underground italiano. Ecco, se proprio dovessimo muovere una critica ai Celtic Hills per questa seconda fatica, citeremo forse la produzione. Il suono avrebbe potuto essere più curato, cercando di valorizzare e definire meglio chitarre e batteria. Certo, non è da escludere che la scelta dei suoni possa essere voluta, nel tentativo di donare maggiore fascino all’album, estraniandolo dal tempo e dallo spazio, per allinearsi con i temi trattati nei testi. Sempre riguardo alla produzione, azzeccatissima, invece, la scelta di mettere la voce un po’ in secondo piano rispetto agli strumenti, con il risultato di renderla spettrale e, di conseguenza, ancora più evocativa.
Con “Mystai Keltoy” i Celtic Hills dimostrano che l’underground italiano è più vivo che mai. Ci consegnano un album di valore, che saprà soddisfare i palati dei defender più incalliti. Molto probabilmente i Celtic Hills non raggiungeranno gli stessi dati di vendita e la popolarità social di alcune band “ammiccanti”, che vanno per la maggiore in questo periodo. Se però vi riconoscete nell’underground e cercate la fede, l’heavy metal, beh, i Celtic Hills fanno al caso vostro.
Marco Donè