Recensione: Mystery Of Illusion
Se provate a pensare alle varie Metal Queen che hanno lasciato un segno nella
storia vi verrà senza ombra di dubbio da nominare Doro su tutte, o le
contemporanee Angela Gossow, Tarja Turunen, Sharon Den Adel,
Simone Simons e
infine la nostrana Cristina Scabbia (solo per citare qualche nome).
Però, Doro e Gossow escluse, sono tutte su generi più adatti alle corde vocali
femminili e al cantato impostato (power melodico di stampo scandinavo e gothic
su tutti).
A pochi, forse, verrà in mente il marchio di fabbrica della creatura capitanata
da David Chastain, una voce unica: Leather Leone.
Vocalist che non ha nulla da invidiare ai colleghi di sesso opposto in quanto al
cantato graffiato, ne tanto meno teme di competere con la Metal Queen per
antonomasia Doro (sfida dalla quale, personalmente, uscirebbe vincitrice ai
vantaggi).
La band di Cincinnati si forma nel 1984, assoldando Mike Skimmerhorn alle
quattro corde e Fred Coury alle pelli, e un anno dopo da alla luce Mystery of Illusion.
La proposta è quella che ci si può aspettare da una band americana di metà anni
’80: un Heavy crudo ed energico, impreziosito però da accenni di quell’epic di
sabbatiana memoria dei tempi di Dio.
L’intro dell’opener è una sorta di marcia visionaria e inquietante in pieno
stile epic, che evolve in un riff scolpito direttamente dalla roccia più dura,
reso ancora più accattivante dalla voce carta-vetrata di Leather. Black Knight è
uno dei pezzi più immediati del disco e, messo in apertura, riscalda l’orecchio
per il resto dell’album. When the Battle’s over lascia ampio spazio ai virtuosismi di
David Chastain, la
doppia cassa presente per tutta la sua durata rende il brano una vera e propria
incursione nel campo di battaglia.
La title-track ci regala la voce pulita e a tratti quasi dolce di Leather, che
subito viene smentita da un urlo che di femminile ha ben poco e un riff che si
stampa in testa senza tanti complimenti; è un pezzo molto cadenzato, l’anima
epic del gruppo prende il sopravvento ed ecco che abbiamo un bridge di chitarra
armonizzata e batteria a ritmo di marcia.
La traccia successiva strizza l’occhio allo speed invece: doppia cassa e riff
macinano senza sosta e sembra proprio che il platter voglia continuare a battere
su sentieri sempre più pesanti.
È subito smentita però questa impressione, Endlessly infatti abbassa un po’ i
toni presentandosi come una semi-ballad dove Leather dimostra di avere una voce
sopra le righe non solo nel graffiato, ma anche lasciandosi andare a acuti
notevoli e pieni di pathos.
Eccellente lavoro alla chitarra solista, ma questa è una caratteristica
confermata più volte durante l’intero lavoro. Ricordiamo infatti che David T.
Chastain ha prodotto una vasta discografia solista spaziando dal rock alla
fusion passando per il neoclassico. I Fear No Evil riporta subito i toni su un Heavy-Power americano che rimanda ai
Vicious Rumors dei primi tempi (Starr e Howe, rispettivamente basso e batteria
dei Rumors, militano attualmente nei Chastain, a rimarcare il feeling tra i due
gruppi).
A seguire troviamo un brano molto cadenzato, Night of the Gods, il quale può
essere considerato uno fra i pezzi più riusciti del disco. We Shall Overcome è una classicissima canzone heavy, caratterizzata dalle
cavalcate del basso, dai riff di chitarra con giochi di pivot su corda a vuoto
tanto cari alla scuola inglese e dalle linee vocali dure che non farebbero
sfigurare il pezzo in un album di nomi più altisonanti.
Chiude l’album The Winds of Change, un bel pezzo epico che però
lascia
un’amara acquolina in bocca: infatti, nonostante l’album sia sotto diversi
aspetti più che buono, quasi tendente all’ottimo, la sensazione finale è quella
di non aver ascoltato un lavoro completo, come se il disco non abbia quel quid in più per lasciare pienamente
soddisfatti.
I pezzi presi singolarmente sono interessanti e accattivanti, ma nel complesso
risultano un po’ vuoti e rendono l’album a tratti inconcludente.
Nulla di male comunque, essendo il primo album dei Chastain, può essere
considerato come un ottimo trampolino di lancio per scoprire i lavori
successivi, quelli forse più significativi per la storia della band, come Ruler of the Wasteland (1986) e ancora di più il quarto lavoro
The Voice
of the Cult (1988).
Album consigliatissimo, in ogni caso, per chiunque volesse ritrovare quell’Heavy
tipico della metà degli anni ’80 e volesse sentire una chitarra e una voce forse
troppo poco valorizzate dalla storia della nostra musica preferita.
Alberto “Metal Priest” Vedovato
Tracklist:
1.Black Knight 03:21
2.When the Battle’s Over 03:42
3.Mystery of Illusion 04:31
4.I’ve Seen Tomorrow 03:01
5.Endlessly 03:25
6.I Fear No Evil 04:37
7.Night of the Gods 05:09
8.We Shall Overcome 03:53
9.The Winds of Change 05:17