Recensione: Mystica
Un album di Axel Rudi Pell non è mai una sorpresa per il metal fan medio che si accinge all’acquisto. La ricetta del chitarrista tedesco è sempre la stessa dalla fine degli anni ‘80: heavy metal di matrice ottantiana con sfumature epicheggianti e dalle decise influenze neoclassiche (Axel non ha mai fatto mistero della propria adorazione nei confronti di Richie Blackmore e dei suoi Deep Purple e Rainbow era Dio), che si snoda in brani molto coinvolgenti, strutturati in maniera impeccabile e impreziositi dalle superbe ugole che hanno prestato la voce alle composizioni del biondo axe-man tedesco.
Mystica è il quarto album che vede l’ex-Hardline, Johnny Gioeli, succedere senza troppi patemi ai grandissimi Rob Rock e Jeff Scott Soto, un disco che trova la propria forza in riff quadrati ed esaltanti e parti cantate da brivido in cui Gioeli dimostra di essere un vero fuoriclasse grazie a una voce calda e avvolgente che si riflette in un cantato molto pieno ed espressivo unito ad una naturale predisposizione per le parti più aggressive, insomma uno di quei cantanti che nobiliterebbero ogni genere di canzone.
Purtroppo non sono tutte rose e fiori, l’album è molto piacevole e come detto molto ben fatto, tuttavia quella che è la propria forza, il suo essere coerente fino al midollo e così classico, rappresenta in parte anche il proprio tallone d’Achille: il modo di comporre di Axel Rudi Pell è sempre lo stesso da una ventina d’anni e i suoi riferimenti e gusti musicali non sono cambiati di una virgola, il risultato è che talvolta affiora qua e là una sensazione di scarsa freschezza e di già sentito. I riff sono spesso di seconda o terza mano e anche le tipologie di canzone presenti in Mystica sono grosso modo le stesse presenti nella totalità della sua discografia: vi è un alternarsi di pezzi veloci (l’iniziale – intro a parte – Fly To The Moon, grande opener o la riuscitissima Living A Lie, rockeggiante e divertente) a mid-tempo d’impatto (Valley Of Sin), inframmezzati dalle classiche suite epicheggianti marchio di fabbrica di Axel (addirittura due, con la stupenda title track a primeggiare nettamente su The Curse Of A Damned, tutt’altro che brutta, ma un po’ prolissa, con un eccesso di parti strumentali) e dall’immancabile lento, No Chance To Live, con Gioeli a dimostrare tutta la propria classe canora. Le canzoni più deboli del lotto sono alla resa dei conti Rock The Nation, abbastanza scontata e priva di mordente nel proprio incedere, la strumentale Haunted Castle Serenade e la già citata The Curse Of A Damned, che avrebbe giovato di un taglio di qualche minuto a favore di una maggiore incisività. Il resto del disco, come detto, si attesta omogeneamente su livelli medio alti: belle canzoni impreziosite dall’ottima prestazione di musicisti di prim’ordine, che se da un lato faranno la goia degli amanti delle sonorità più classiche, dall’altro potrebbero far affiorare un po’ di noia legata alla riproposizione (seppur con classe e gusto) di schemi e soluzioni non propriamente innovativi.
Tracklist:
01. The Mysterious Return (Intro)
02. Fly To The Moon
03. Rock The Nation
04. Valley Of Sin
05. Mystica
06. Living A Lie
07. The Curse Of The Damned
08. Haunted Castle Serenade (Opus # 4 grazioso e agresso)
09. Losing The Game
10. No Chance To Live