Recensione: Naked On the Black Floor
Gli Event Horizon son un gruppo della zona di Lodi attivi nella scena underground fin dal 1996. In questo tempo si sono avvicendati alcuni musicisti nell’organico della band, ma la principale differenza è stata data dall’avvicendarsi della voce. Nati come band dedita a un power-prog melodico estremamente orecchiabile anche se non particolarmente originale, è stato con l’inserimento dell’attuale cantante Gianluigi Girardi che gli Event Horizon hanno progressivamente indurito il proprio sound. Alessandro Formenti, il precedente singer, era dotato di una voce pulitissima e altissima nello stile della scuola power tedesca, al contrario Gianluigi proviene dai Soul Takers e ha una voce decisamente più aggressiva. A questo si aggiunse anche la perdita del tastierista. Il risultato fu una serie di contaminazioni, in particolare dal thrash, che hanno evoluto la loro proposta musicale fino a ciò che possiamo ascoltare oggi.
Ma passiamo a parlare di questo “Naked On the Black Floor”, primo, ma in realtà secondo, parto di questa band che a lungo ha dovuto penare prima di trovare un contratto. Il primo vero “full lenght” degli Event Horizon intitolato “Year: Zero” venne infatti registrato e autoprodotto dalla vecchia formazione.
Questo loro debutto ufficiale si apre con “Everything that Begins… Must End” la traccia dal titolo più lungo del disco, che in realtà è anche la più corta trattandosi solo di una intro strumentale dai toni cupi e piuttosto atmosferici dove qui e là fanno la propria comparsa effetti elettronici. Si comincia a fare sul serio con l’inizio di “Deconstructed” dimandato a chitarre e batteria che hanno il compito di intrecciarsi in complicate geometrie. Gli Event Horizon fanno subito sentire di che pasta son fatti e i minuti della canzone volano letteralmente. Il mix che son riusciti a creare tra chitarre al vetriolo, graffianti e incisive come nella migliore tradizione thrash, unite a una sezione ritmica chiaramente prog basata su ritmi dispari e continui e inaspettati cambi di tempo, è decisamente di primo piano. Sopra a tutto troviamo la voce di Gianluca che si dimostra estremamente duttile, riuscendo a trovarsi a suo agio sia nei passaggi più bassi e aggressivi che in quelli più alti in cui è costretto a vari acuti.
Questa prima canzone riesce, così come le successive, ad avere più livelli di ascolto. Colpisce subito al primo passaggio nel lettore per la sua carica e aggressività, al contempo però cresce anche sulla distanza. Ogni nuovo ascolto infatti riesce a dare qualcosa di più, rendendo questo disco tutt’altro che banale.
Se una critica si può muovere a livello di song-writing è, solo a tratti, per l’uso dell’elettronica. L’inserimento di effetti qui e là per le tracce non è assolutamente da scartare, anzi, spesso questo riesce a donare un pizzico di originalità in più ai brani. Saltuariamente, non più di una manciata di occasioni in tutto l’album, però l’elettronica sembra andare un po’ a coprire il resto, quasi a nascondere passaggi non troppo ispirati. Il consiglio è naturalmente quello di non esagerare e usare con parsimonia questi strumenti che, se abusati, possono rovinare anche il resto.
Il lavoro fatto da questi ragazzi è notevole e i dieci anni di gavetta che si son fatti si sentono tutti in questo loro debutto per una etichetta che si spera riesca a farli conoscere anche all’estero. Se metteranno a frutto la loro esperienza e continueranno con le buone idee che hanno sfornato fino adesso, sono convinto che potranno riservare diverse ottime sorprese.
Tracklist:
01 Everything that Begins… Must End
02 Deconstructed
03 Bited
04 Again
05 The Road to Myself
06 Fragments of Insanity
07 Zero
08 The Flying Feather
09 The Wall
Alex “Engash-Krul” Calvi