Recensione: National Blasphemy
Gli I.C.S. sono una delle tante band che cavalcano l’inerziale onda che ha preso il via una decina di anni fa grazie alla poderosa rinascita dalle acque pesanti del thrash metal. Gli Incineration Caustic Sleep (questo il nome per intero) nascono nel 2008 a Cologno al Serio come old school thrash metal band ispirata da gruppi come Sodom piuttosto che primissimi Metallica. Fin qui sembrerebbe tutto molto ‘ordinario’. Quali sono le band che, alle prima armi, si sono rifatte ai Voivod od agli Annihilator? Ben poche… così come ben poche hanno saputo evolversi dalle radici terra-terra da cui sono nate. Agli I.C.S. invece dobbiamo riconoscere una certa personalità che, a volervela dire tutta, non è così semplice da riscontare a primo ascolto. L’impatto è notevole e non bisogna incorrere nell’errore di considerare questo debutto come l’ennesimo disco thrash metal stra-ascoltato… c’è qualcosa di più…
Il gruppo si presenta con un songwriting che oscilla tra comparti accelleratissimi, tipici del thrash metal delle origini, a momenti più ‘core’ oriented, tipici del thrashcore newyorkese. Una sorta di via di mezzo tra la tipica aggressività del thrash europeo e quella stradaiola del crossover statunitense. “National Blasphemy” potrebbe quindi apparire un ibrido privo di spessore, ma la spontaneità evidente che si coglie dall’ascolto di brani come, ad esempio, ‘Erection and Resurrection’, ‘A.N.O. (A normal Obsession)’ piuttosto che ‘Spiritual Dictators’, lascia intendere una chiara direttiva all’interno del gruppo: ‘Facciamo quel cazzo che ci gira e… fuck ‘em all!’. Questa cosa, a dirvela tutta, al sottoscritto è piaciuta parecchio!
Tanto per capirci meglio, ascoltando gli I.C.S. mi è venuta in mente la schiera di band che ha dato vita, per pochissimo tempo (ahimé!), alla scena apple-core britannica, simile per certi versi allo ‘stile’ (non solo musicale) dei Nostri.
Certo, la band non è ancora matura al 100%. A parer di chi scrive il coinvolgimento di alcune sezioni ritmiche avrebbe preso il volo in presenza di cori ben assestati, così come sulle sezioni soliste si poteva perdere qualche mezz’oretta in più in sala prove o a casa, magari fino a tarda notte, crollando di stanchezza tra polpastrelli grondanti sangue e lattine vuote sul letto. Qualche fill di batteria qua e là avrebbe infine garantito maggior continuità al songwriting, quello più tirato; songwriting che si esprime invece alla grande quando c’è da pestare (lavoro che il batterista della band, Begnini, intepreta bene).
La produzione è più che buona considerato il fatto che il disco è stato autoprodotto con, ipotizziamo, ben poco budget. Non male.
L’artwork risulta un po’ infantile, ma è cosa ormai certa che la band si prenda poco sul serio, pur dimostrando un notevole entusiasmo. Vedetela come volte, ma pure questo, a mio parere, è un loro punto di forza.
Ben poco altro da dire se non fare i complimenti al gruppo per questo valido esordio che rende onore, ancora una volta, al nostro panorama thrash metal che mai, da trenta anni a questa parte, è stato così florido di proposte notevoli di interesse e di ascolto. Disco sentitamente consigliato agli amanti del thrahcore.
Nicola Furlan
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