Recensione: Nattesferd

Di Gianluca Fontanesi - 6 Giugno 2016 - 0:01
Nattesferd
Band: Kvelertak
Etichetta:
Genere: Vario 
Anno: 2016
Nazione:
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65

C’era grande attesa per il terzo album dei Kvelertak, band norvegese con all’attivo un album di debutto devastante e un seguito, Meir, discreto ma non troppo. Ciò che temevamo di più si è purtroppo avverato: i nostri hanno sterzato verso un percorso più easy lasciando da parte un buon 80% della ferocia degli esordi. Andiamo però con ordine. Il viaggio notturno si presenta con un gran bell’artwork ad opera di Arik Roper ed è composto da 9 brani registrati in presa diretta e lasciati così come sono venuti. O quasi. Un orecchio ben allenato qualche errore di esecuzione durante la tracklist è in grado di trovarlo, ma fa tutto parte del gioco e dell’effetto che si è voluto dare.

Le danze si aprono in maniera in realtà fuorviante: Dendrofil For Yggradsil è micidiale e si rivelerà purtroppo un episodio isolato. Il brano funziona benissimo nella prima parte, poi, difetto comune a molti momenti della tracklist, diventa prolisso tendando di finire senza mai riuscirci. Molto spesso, anche nella successiva 1985, cogliamo la band intenta ad allungare il brodo fino allo sfinimento con finali interminabili e non sempre riusciti. Quest’ultima, nonostante tutto, è un pezzo riuscitissimo, solare ed esaltante; lasciamo però perdere la ferocia che davvero non è presente, qui siamo sul radiofonico andante e non è un male, specialmente se lo si vede nell’ottica di un songwriting vario. Peccato per l’interminabile finale, che sarebbe riuscito meglio con una parte cantata in più, piuttosto.

La titletrack si sposta su un rock’n roll acido e che ha ovvi rimandi verso Turbonegro, The Hives e compagnia nordica andante. Funziona il contrasto tra la parte melodica e quella più “rabbiosa”, in cui di rabbioso c’è ormai solo la voce, e anche quella morde meno rispetto al passato. Svartmesse ha un buon inizio ed è articolata su un tempo in battere che dal vivo non farà prigionieri; sottolineiamo che anche Nattesferd è cantato totalmente in norvegese e, nonostante potrebbero esserci fraintendimenti sul significato dei testi, non vi sono però nella reiterata ricerca del ritornello catchy da parte dei Kvelertak, cosa che arriva presto alla noia.

Bronsegud (SSQ) offre una breve accelerazione con un riffing che rimanda al country e si rivela ben presto uno dei brani migliori dell’album: finalmente dura poco (il resto si assesta quasi sempre dai 5 minuti in su) ed è ben strutturato senza l’aggiunta di inutili orpelli. Ovvio, si sente in maniera tremenda l’assenza di un brano in grado di elevarsi dal resto, tipo una Fossegrim o una Blodtørst qualsiasi, e inizia a insinuarsi nella mente dell’ascoltatore il triste pensiero che tutto il meglio dei Kvelertak sia stato offerto nel primo album.

Nemmeno la produzione convince appieno, troppo pulita e poco abrasiva, decisamente fuori contesto.

Ondskapens Galakse è un buon lentaccio che ha come punto di forza un riuscitissimo scambio di arpeggi e stoppati, che danno al brano un mood e un’atmosfera decisamente particolari. Funziona molto bene anche il ponte arioso e, per una volta, il lungo finale. Berserkr è il secondo e ultimo sprazzo di violenza di Nattesferd e si rivela ben presto un buon pezzo, con un buon alternarsi di blast beat tritatutto e del rock’n roll abrasivo, vero punto di forza della band che la band stessa sembra aver dimenticato. Un insulso ponte stucchevole inizia la seconda parte del brano, che si riprende poco dopo con un momento di discreta potenza.

Ci avviciniamo alla fine e lo facciamo con un bel polpettone da nove minuti di orologio; Heksebrann è aperta da un buonissimo momento di psichedelia in grado di scaldare a dovere gli animi e intrattenere al punto giusto con un retrogusto di jam session che mai male non fa. La partenza è affidata da un riff puramente hard rock e a una strofa che a questo punto risulta ripetitiva; molto belli in ogni caso gli inserti e i cori femminili in grado di essere un vero e proprio valore aggiunto. Ci si aspettava un brano interminabile, e invece qui i Kvelertak giocano benissimo le loro carte offrendo finalmente sprazzi di grande musica e lasciando intravedere una possibile ottima strada da intraprendere nel prossimo futuro. Gran pezzo.

Nekrodamus cambia ancora le carte in tavola con un incedere quasi stoner, fumoso ma non in grado di eguagliare in qualità il grandioso brano precedente.

 

Tirando le somme, Nattesferd non è un brutto album, anzi, offre ottimi spunti e alcuni momenti davvero grandiosi; troppo pochi però per poter considerare riuscitissimo un lavoro che ha come solo denominatore comune il far rimpiangere i fasti del primo, omonimo album. C’è ancora da lavorare in casa Kvelertak e c’è da farlo scegliendo prima di tutto una direzione; in Nattesferd ce ne sono molte e nessuna porta in un posto ben definito. Il terzo parto dei Kvelertak passa dall’orecchiale al commerciale passando per l’acido toccando la psichedelia e cercando di arrabbiarsi ogni tanto, cosa che riesce solo ai fuoriclasse  e a persone in grado di produrre un songwriting stellare. Qui abbiamo davanti una band normale, con pregi, difetti e qualche picco di rara intelligenza, bisognerà puntare su quella.

 

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