Recensione: Nattestid Ser Porten Vid

Di Alessandro Cuoghi - 28 Settembre 2009 - 0:00
Nattestid Ser Porten Vid
Band: Taake
Etichetta:
Genere:
Anno: 1999
Nazione:
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90

Inizio 1999, il movimento del Black Metal Norvegese si trascina stancamente verso quella che sembra una fine inesorabile. L’ispirazione e la freschezza compositiva degli anni passati paiono ormai disperse nell’oblio e le band che avevano portato il genere allo splendore tentano ora di cimentarsi in sperimentazioni sonore dai risultati altalenanti o, in modo maldestro, di ricopiare quanto di buono fatto in passato.
Le nuove leve, per sopperire alla scarsa o nulla ispirazione compositiva e sociale, cercano il successo attraverso pacchiane e distorte rivisitazioni dell’attitudine “true”, risultando appetibili solamente a ragazzini affascinati da quell’accozzaglia di croci rovescate, pentacoli infuocati e teste di capra impalate che credono essere la vera essenza del Black Metal.
L’attenzione dei fan old school inoltre rimane completamente ancorata al passato ed i detrattori sostengono che il genere ed il culto di esso siano ormai morti e sepolti.

In questo desolante scenario vede la luce “Nattestid Ser Porten Vid”.

L’album, registrato tra il 1997 e il 1998 ai famosi Grieghallen recording studios di Bergen, ma uscito solamente ad inizio 1999, è una folata di vento fuggita dalle oscure foreste norvegesi, una vera e propria boccata d’aria gelida intrisa d’odore di muschio e di una ferocia nordica che non si sentiva ormai da tempo.
Scritto interamente dall’eccentrico e pericoloso Hoest, malsano creatore del progetto Taake, il disco squarcia il velo d’indifferenza che si sta posando inesorabilmente sul genere e assesta un glaciale schiaffo in faccia a quanti speravano che il TNBM fosse un capitolo chiuso, sbricilandone le convinzioni e schiantandoli brutalmente sul gelido muro della verità. Il Black Metal Norvegese è vivo, ed esistono ancora gruppi in grado di comporre ottima musica, capace di comunicare emozioni semplicemente attraverso le più elementari particelle musicali, le note.

Dal punto di vista tecnico i Taake dimostrano di possedere capacità compositive e sensibilità  eccezionali. La discreta ma particolare produzione riesce a mettere in risalto gli strumenti, dando (cosa abbastanza rara per il Black Metal) un buon impatto anche al basso, protagonista di parti fondamentali nella struttura di alcuni brani. Le chitarre tipicamente Black tessono riff ricercati e di pregevole fattura mentre la batteria si dimostra potente ma non invasiva riuscendo ad offrire una discreta varietà tra blast beat assassini, stop e tempi marziali. Le lyrics, ricercate e profonde, affrontano tematiche diverse e sono permeate da affascinanti citazioni riguardanti tradizioni e leggende nordiche.
Per quanto riguarda la band, estremismo sociale e attitudine “true” sono tutt’altro che assenti e in questo caso fanno da contorno ad una delle migliori incarnazioni del Black Metal dell’ultimo periodo.

Il disco, composto da 7 canzoni contrassegnate solamente da un numero e cripticamente cantate in norvegese, si apre con un riff dal sapore folk che invade l’aria catturando immediatamente l’attenzione dell’ascoltatore. Sin da subito si nota la presenza di una certa ricerca della melodia sapientemente innestata nella furia della composizione. Tale aspetto emerge nettamente durante il chorus, epico e malinconico, che ne rappresenta uno dei maggiori punti distintivi. Nota di merito va inoltre al testo, poetico e ponderato, le cui strofe conclusive la dicono lunga sulla filosofia della band:”Vond tid venter naer – Paa dem som stirret seg blind – For aa se Gud”; “”Difficili tempi si avvicinano – Per quei ciechi – Che fissano se stessi per vedere Dio”. 
Segue a ruota Vid II, altro pezzo da 90 dell’album, aperto da uno screaming malefico che accosta sapientemete riff orecchiabili e malinconici a sfuriate micidiali, corredato da uno splendido seppur breve intermezzo arpeggiato a spezzare l’aggressività del brano. Anche in questo caso la musica è accompagnata da lyrics di ottima fattura, impregnate di un amore smodato per le antiche tradizioni e per il rapporto con la propria terra: “Krattskog sein en bjoergvinskveld – Paa en sti av fordums far – Jeg kjente sterkt ditt naervaer – Som om graabeins skrud jeg bar – Jeg minntes de historier – Fortalt her oppi Nord”; “Nelle macchie di una tarda sera di Bergen – Su un sentiero del vecchio padre – Sentivo fortemente la tua presenza – Come il vestito di lupo che indossavo – Mi sono ricordato le storie – Narrate al Nord”. Menzione d’onore infine all’attacco brutale di Vid VII, song che si snoda per più di 9 minuti pur rimanendo varia ed interessante, sorretta nei punti di maggior pathos da un’orecchiabile giro di basso.

Inutile proseguire nella descrizione delle caratteristiche e dei sentimenti suscitati da ogni singolo brano, Nattestid… è un album da assaporare in toto, a livello intimo e personale. Per tutta la durata di esso si ha l’impressione di assistere all’evoluzione dei sentimenti di un’anima travagliata: malinconica, talvolta aggressiva e sprezzante, a volte sognante. E’ un disco destinato a far parlare di sè. Lo consiglio a tutti gli estimatori del Raw Black Metal e a chi vuole avvicinarvisi, essendo esso la giusta amalgama degli elementi cardine del genere accorpata ad un gusto compositivo sorprendente. Caratteristiche queste che fanno di Nattestid… un capolavoro destinato a posizionarsi orgogliosamente a fianco delle nere perle musicali create dai vecchi maestri.

Alessandro Cuoghi

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TRACKLIST:

I
II
III
IV
V
VI
VII

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