Recensione: Natural Destruction

Di Mauro Gelsomini - 17 Giugno 2003 - 0:00
Natural Destruction
Band: Aftermath
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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59

Attivi da otto anni nel panorama Hard Rock newyorkese, gli Aftermath debuttano con questo “Natural Destruction” nella speranza di seguire le orme dei mostri sacri del genere, alias Skid Row, primi Bon Jovi e Poison.
Sicuramente è difficile in un paese come gli Stati Uniti riuscire ad emergere proponendo un genere datato e che suscita praticamente nessun interesse in quelle terre, ma la Escape/Sony Music ha deciso di dare comunque fiducia al quartetto capitanato dal tuttofare Joey Dia (voce, chitarra e basso). Il risultato soddisfa a metà, in quanto se da una parte è innegabile la tanto spiccata quanto ammirevole – per coraggio? – attitudine stoner/glam, dall’altra è altresì impossibile inquadrare gli Aftermath se non come una cover band. Il sound delle band sopracitate viene esasperato con l’innesto di tastiere praticamente ovunque, e la scelta di attutire ogni frequenza estrema converge nell’ovattamento complessivo che rende il tutto di una pastosità davvero tediosa. E’ per questo che raramente riescono a brillare le vocals di Joey, dotato per altro di una buona voce, profonda quanto basterebbe per dare il groove giusto ai pezzi, nella vecchia tradizione hard rock, ma non abbastanza presente e impostata per conferire da sola il giusto mordente ai brani, e rendendo dunque necessario il continuo ricorso ai cori. Le tracce migliori, a confermare quanto detto, sono proprio quelle meno infarcite di arrangiamenti, come la ballad “Loving You”, intensa e coinvolgente. Le altre song scorrono senza macchia e senza lode, e per questo difficilmente rimarranno stampate nella mia memoria.
Merita menzione a sé il trittico conclusivo composto da “Better Days”, “Tired” e “Pain of The Memory”, tre delle più brutte canzoni che io abbia mai ascoltato, di una noia mortale.
Mi hanno lasciato alquanto perplesso le parti soliste del chitarrista Bill Dinapoli, che alterna prestazioni maiuscole a dozzinali errori, peraltro facilmente correggibili in fase di editing, mentre ho apprezzato non poco i riff dell’opener “It’s Not Real”, di scuola Savatage: mi permetterei di consigliare agli Aftermath di battere su questo argomento, visto che l’accoppiata tra Sava-style riff e melodie graffianti alla Poison mi sembra abbastanza vincente.

Tracklist:   

1.  It’s Not Real
2.  Ain’t No Pretty Love Song
3.  For Being You
4.  Loving You
5.  Rich Gets Richer
6.  E Z Living
7.  You’re The One
8.  Behind These Eyes
9.  Better Days
10. Tired
11. Pain Of The Memory

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