Recensione: Nebula Septem
I Monolithe e la regola del sette: sette musicisti per sette brani della durata di sette minuti ciascuno, aventi come iniziali dei titoli, in successione, le prime sette lettere dell’alfabeto. Il tutto, per il settimo full-length del combo francese, “Nebula Septem”, che riporta, ancora, nel nome, il numero sette.
I Monolithe, esploratori dei misteriosi segreti della vita extraterrestre, viaggiano alimentati dall’energia del loro doom metal coordinato, nell’orientamento spazio-temporale, dagli effetti della numerologia sopra specificata.
I Monolithe interpretano in modo tutto loro il doom, trasfigurandone i dettami di base onde adattarlo alla lunghezza e alla solitudine dei viaggi interstellari. Si potrebbe pensare a epic doom, se proprio si volesse a tutti i costi affibbiare una definizione alla musica dei Nostri ma giusto per definire meglio un’idea.
I Monolithe in realtà interpretano a modo loro il doom medesimo, ammantandolo di un candido sudario di elementi non presenti nella forma classica della foggia musicale di cui trattasi. Inserendo tappeti di tastiere che, come nelle fiabe arabe, fungono da mezzi di trasporto per entrare con più facilità nella spirale cui si muove, anche, l’ensemble di Parigi.
I Monolithe, autori di sette brani la cui composizione, di alto livello qualitativo, induce chi ascolta a trascendere dalla realtà per inserirsi nella scia espulsa dalla loro astronave immaginaria. Per esplorare mondi lontani, galassie perdute, nebulose dai colori sgargianti. Per ruzzolare, attratti da una forza gravitazionale infinita, nel nulla dei buchi neri.
I Monolithe, predisposti più all’interiorizzazione che all’esternazione, produttori di una cascata di note a volte eterea, a volte visionaria, a volte lisergica, a volte allucinata ma mai esagerata nella sua esternazione sonora. Nonostante la presenza di numerosi musicisti, “Nebula Septem” è un album meravigliosamente delicato, privo di eccessi, dedito ad accarezzare con stupefacente naturalezze gli sciami di particelle che occupano il vuoto cosmico (‘Burst in the Event Horizon’).
I Monolithe, alfieri di un’interpretazione artistica originale, almeno nell’ossessione per il numero sette. L’aspetto prettamente strumentale ricalca, invece, alcune realtà, soprattutto del Nord Europa, in cui il doom assume connotati melodici, piuttosto lontani dalla rude scabrezza della tipologia classica (‘Delta Scuti’). Per una morbida e trasognante discesa nei meravigliosi, sorprendenti atomi che, come minuscoli corpi celesti, formano le molecole e quindi la materia dell’essere umano, paragonabile all’Universo del piccolo, contenuto nell’Universo del grande. Declino sospinto dalle leggere scie di ‘Gravity Flood’, brano strumentale un po’ avulso dal contesto generale, addirittura simile a electronic ambient (Tangerine Dream? Vangelis?) ma sempre e comunque legato al resto del disco. Al contrario di certa produzione ostica e dedita all’underground, “Nebula Septem” è un lavoro accessibile a tutti. Tutti coloro che sognano, però.
Daniele “dani66” D’Adamo