Recensione: NeChrist
“NeChrist” è uno dei migliori capitoli della lunga produzione dei Nokturnal Mortum, band Ucraina che in patria ha un nutritissimo seguito e che in tutto l’est europeo è considerata di culto, ma che al contrario è ben poco conosciuta e apprezzata nel resto del mondo. Eppure di qualità questo gruppo ne ha in abbondanza e sarebbe sciocco sottovalutarlo solo in base alla loro provenienza geografica o alle loro idee politiche come invece fanno in molti.
Il genere proposto dai Nokturnal Mortum è sempre inquadrabile all’interno del black metal, ma bisogna anche notare come il gruppo ucraino abbia spesso sperimentato varie influenze nel proprio sound. Ogni album della band infatti risente di influenze diverse, questo NeChrist in particolare porta con se una forte vena folk che si innesta su una base di stampo sinfonico. Una vena folk che è decisamente originale e particolare, che ci porta sonorità e ritmi della loro terra natia.
Ma passiamo a parlare dell’album. Il cd si apre con “The Funeral Winds Born in Orian”, uno dei brani migliori di tutta la tracklist e che sicuramente per questo è stato piazzato in apertura per conquistare fin da subito l’ascoltatore. Come si diceva fin da subito, è proprio la componente folk una delle caratteristiche migliori di questo brano che a più riprese piazza degli stacchi musicali decisamente originali che ci riportano subito con la mente alle feste popolari e il cui sapore è vagamente zigano.
La seconda traccia parte con toni decisamente più orientati verso il black sinfonico più tipico, ma ben presto la vena folk fa di nuovo capolino soprattutto grazie a un interessante lavoro di batteria che dona a tutto un ritmo particolare. Poi il compito di portare avanti il discorso passa naturalmente alle tastiere che lungo tutta la durata del disco riescono a coniugare in maniera molto interessante le componenti più sinfoniche di sottofondo con i ritmi che definirei quasi “festaioli” che restano in primo piano.
Uno dei brani più curiosi e particolari del disco è sicuramente la terza canzone “Black Raven”, soprattutto per merito della sua intro che sinceramente posso solo supporre essere qualcosa di simile a una preghiera o una invocazione recitata nella lingua natale del gruppo, da essa poi veniamo letteralmente trascinati nel pezzo più folk dell’intero album. La sensazione che se ne ottiene è che veramente siamo di fronte a una canzone popolare suonata però con chitarre, basso e batteria e il risultato non è decisamente niente male.
Più aggressiva è invece la successiva “The Call of Aryan Spirit”, anche se comunque un breve stacco folkeggiante è garantito in particolare dall’uso di alcuni pifferi, uno dei vantaggi infatti di questo album è certamente quello dell’uso di un gran numero di strumenti diversi, soprattutto mutuati tra quelli tipici e caratteristici della loro zona di origine.
Una piccola pecca dell’album nella sua interezza è però quella di proporre una costruzione dei brani sempre piuttosto simile con un caratteristico stacco di sapore molto folk al centro della canzone. Si procede quasi sempre mantenendo la prima parte della traccia su uno stile più black, e sviluppando nella seconda parte un sound più legato allo stacco folk sopra menzionato spesso prima suonandolo con gli strumenti caratteristici e poi reinterpretandolo con chitarre, basso e batteria.
Una menzione particolare merita però sicuramente anche l’ultima song “Perun’s Celestial Silver”, uno dei brani in cui la vena folk e quella black si fondono nel modo migliore dando vita a una canzone estremamente varia e originale. I cambi di tempo sono molti, così come gli strumenti impiegati dai cimbali, ai pifferi, ad altri strumenti a fiato probabilmente tipici della loro zona. Il risultato finale è sicuramente una delle canzoni migliori dell’album a cui contribuisce anche l’uso di una voce femminile molto bassa, distante dalle voci alti e quasi celestiali di molti gruppi, ma in questo caso decisamente azzeccata.
Naturalmente però oltre alle luci vi sono anche le ombre, e naturalmente queste ombre riguardano tutte la produzione. Il discorso sulla produzione grezza nei dischi black è ormai vecchio e forse fin troppo abusato, ciò nonostante non posso fare a meno di sottolinearlo in questa recensione. Le chitarre in particolare sono decisamente molto impastate e la batteria non ottiene l’importanza che le spetterebbe, soprattutto la grancassa, venendo spesso coperta dagli altri strumenti e limitandosi a essere quasi sempre più un rumore di fondo che uno strumento del gruppo, le uniche cose che si senton quasi bene sono i piatti.
Volendo aggiungere una piccola postilla di carattere storico: questo album e i suoi testi sono stati praticamente la motivazione per la fine della collaborazione da parte della band con la The End Records oltre che della mancata firma del contratto con la Nuclear Blast (fino ad allora distributrice dei cd della band nel resto d’Europa) che sembrava interessata a produrre i Nokturnal Mortum. Il tono veramente esplicito, come mai prima nella produzione della band, dei testi inneggianti al nazismo, l’odio nei confronti degli ebrei di cui sono farciti tutti i brani e i cori inneggianti alla purezza della razza ariana sono probabilmente il motivo per cui questi ucraini hanno sempre militato quasi al limite dell’underground senza mai sfondare veramente.
Per concludere si tratta di un disco sicuramente consigliato a tutti coloro che apprezzano il black metal con più di una qualche tinta folk, un bel disco, originale e particolare, sicuramente uno dei migliori di questa band considerata letteralmente di culto nella propria terra, che risente purtroppo di una produzione veramente pessima, ma che molti potrebbero trovare più che apprezzabile.
Tracklist:
01 The Funeral Winds Born in Orian
02 Night Before the Fight
03 Black Raven
04 The Call of Aryan Spirit
05 The Child of Swamps and Fullmoon
06 Death Damnation
07 In the Fire of the Wooden Forests
08 Jesus’s Blood
09 The Dance of Sword
10 Perun’s Celestial Silver
Alex “Engash-Krul” Calvi