Recensione: Necrobreed
Suoni sconnessi, frammenti di pensieri e poi tanta ferocia e infinita violenza, sono il flusso continuo che ci investe con la nuova fatica discografica dei francesi Benighted.
Il progetto, all’inizio vicino a sonorità black metal, ha con gli anni spostato il tiro al death ed al grind, mantenendo però un’aura oscura all’orizzonte. Sole nero così ricopre follia che poi, rossa come sangue, esplode lasciando scoperta pelle viva.
Nervosi scatti scandiscono un lavoro che non regala punti di riferimento, tremori che si tramutano in convulsione di suoni, in cui niente trova alcun attimo di pace. Le rare pause sono chimico farmaco che inibisce il corpo, ma non una mente ormai deviata e mai quieta.
Tecnica e cerebrali strutture sono solo la punta di un iceberg di odio. L’intreccio di voci, e di chitarre, disegnano fitte trame in cui la psicopatia viene perfettamente rappresentata. Labirinto che via via cresce, ed in cui l’anima si perde in frenetiche corse. Alleviamo creature insane, infette da un calore che non è vita, ma semplice egoismo.
Così, questa malattia si manifesta in eruzioni di note che tutto infettano. Diventiamo anche noi parte di tali ambientazioni, tra passaggi strumentali di matrice thrash, e lapilli di schizofrenia grind.
I Benighted macinano e triturano tutto ciò che incontrano, con grugniti, assoli, ed un martellare incessante di batteria. I pezzi sono tutti intensi, e si differenziano poco l’uno all’altro ad un primo ascolto. Vista la mole di elementi e sonorità profuse, dovrete necessariamente avvicinarvi ad un full-lenght che non sposta certo i gusti dell’ascoltatore, ma che per complessità ha davvero tanto da dire.
Aborted, Cattle Decapitation e Dying Fetus sono i primi paragoni che ci vengono in mente, con un velo di nera fiamma a regalare una vena di misticismo a tutto ciò. Pensate ad un ospedale psichiatrico abbandonato, in cui spiriti senza quiete si manifestano, facendo cadere oggetti, una sorta di esoterismo che trasuda di patologia. Avvertite allora l’angoscia in ogni eco, nel vento che soffia tra le porte ormai logore e cigolanti del vostro personale incubo. “Necrobreed” lascia il segno, ed una volta calati all’interno di esso, non riuscirete subito ad uscirne, anche dopo aver schiacciato il tasto stop dello stereo. Tutto ciò mostra talento per una band che non rivoluziona il filone, ma incide enormemente nella scena estrema.
Stefano “Thiess” Santamaria