Recensione: Necrolution

Di Daniele D'Adamo - 7 Novembre 2024 - 18:25
Necrolution
Band: Massacre
Etichetta: Agonia Records
Genere: Death 
Anno: 2024
Nazione:
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78

Il messaggio è ben chiaro. A detta del mastermind Kam Lee i Massacre, con il nuovo album “Necrolution“, si evolvono de-evolvendosi. Sembra un gioco di parole ma mostra la ferrea volontà di tornare indietro nel tempo, sino alla fine degli anni ottanta / inizi degli anni novanta, per mostrare ai giovani d’oggi com’era il death metal in allora.

Il che non significa discutere di old school death metal, poiché quest’ultimo è un mero sottosviluppo del genere madre e certamente non il contrario. No, il combo statunitense intende testardamente cancellare anni di progressione per tornare sui propri passi sino al primo vagito, il seminale demo “Aggressive Tyrant” (1986).

È ovvio che l’operazione riguardi il cuore dello stile inimitabile dei Nostri, poiché nel frattempo la tecnologia si è sviluppata enormemente dal leggendario debut-album “From Beyond” (1991). In ciò, allora, l’operazione ha senso, traslando al 2024 un modo di suonare tipico di una band che non ha mai fatto parte sino in fondo al death metal floridiano. Proponendo, invece, una modalità realizzativa tutta sua.

Costruita anzitutto su un mood horrorifico, malsano, a tratti perverso (“Xenophobia (Prologue)“, “Death May Die“, “Chasm (Prologue)“, “Xothic (Prologue”)), elaborato per rendere visibile un animo oscuro, tetro, buio, si direbbe addirittura spaventoso (“Ritual of the Abyss“). Un modo di estrinsecare i più terribili orrori che albergano nei più reconditi anfratti del cervello umano e, di contro, nello Spazio profondo ove albergano gli dei lovecraftiani. Con accezione moderna, insomma, si direbbe di un death metal atmosferico (“Ad Infinitum: The Final Hour“).

La suddetta precisazione era dovuta giacché è proprio l’anima nera di Lee e compagni a essere l’elemento di spicco di “Necrolution“. Non per altro: il combo di Tampa, pur possedendo adeguate competenze tecniche di livello professionistico, hanno sempre avuto un songwriting non particolarmente complesso. Una scelta condivisibile, se si intende porre avanti a tutto e tutti il cuore e dopo la musica.

Le chitarre dell’onnipresente Rogga Pettersson e dell’omonimo Jonny sciorinano una quantità industriale di riff non particolarmente elaborati senza mai fermarsi, senza mai alzare la concentrazione necessaria per dar vita a un insieme di accordi allo stesso tempo compatti e sciolti, che scorrono via bene, con facilità ma anche con potenza, belli massicci, pieni e carnosi. Ben udibili nel mezzo del sound del quintetto a stelle e strisce. Una caratteristica, questa, che incarna al 100% il modo di esprimersi delle sei corde primigenie.

Questo non significa che i suddetti axeman siano scarsi o inappropriati allo scopo. Rogga Pettersson, specie di genio dai mille gruppi e dai mille dischi, è un chitarrista capace anzi coi fiocchi, secondo a nessuno nell’ambito del metal estremo. Qui, per farla breve, è come se semplificasse il suo modo d’essere per aderire alle modalità compositive dei primissimi lavori dei Massacre.

Più su si parlava di tecnologia, e quindi, di conseguenza, di produzione. La quale è perfetta per discernere i vari strumenti, compreso le linee di basso, spesso ingerito nel marasma sonoro. E, con esse, il drumming che, seppur prediligendo sostenuti up-tempo anche assai veloci, determina una piccola discrasia temporale derivante dalla circostanza che in alcuni momenti esso scivola nella follia dei blast-beats (“Ensnarers Within“), questi ignoti negli anni ottanta.

Le canzoni, però, sono le vere cartine al tornasole le quali stabiliscono che, davvero, i Massacre siano riusciti nel loro intento. A parte la tecnica, c’è l’aspetto artistico che si sviluppa in brani omogenei rispetto alla foggia musicale di cui trattasi ma ben diversi l’uno dall’altro. Brani limpidi, lineari, rompicollo (“Death May Die“), per un headbanging perfetto.

E allora, un bel tuffo nel passato con “Necrolution” è consigliato anzi dovuto: i Massacre, bene o male, sono una delle top band storiche del death metal, e meritano di essere in cima alla piramide.

Daniele “dani66” D’Adamo

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