Recensione: Necrophony
Discutere di death metal, con gli Exmortus, non è facile. Le contaminazioni, infatti, penetrano il loro stile sino al cuore del concetto musicale.
In primis il thrash, bagaglio del combo statunitense che ha contraddistinto gran parte della sua carriera, nata nel 2002. Con che, in “Necrophony”, sesto full-length, l’aggettivo thrashy è uno dei leitmotiv che accompagnano per mano l’elaborazione di uno stile praticamente unico al Mondo. Non tanto per questo segno caratteristico, quanto, invece, per via dei virtuosismi neoclassici (sic!) che fungono da elemento portante dell’LP grazie al clamoroso talento chitarristico del mastermind Jadran “Conan” Gonzalez.
Il quale con il suo growling a dire il vero poco profondo, dà al proprio progetto quel non so che di death metal che, nuovamente, va preso per le molle se serve a classificare la musica del disco. Anche se in talune occasioni il ritmo si alza repentinamente sino a infrangere la barriera dei blast-beats, come accade nella rocciosa ‘Mask of Red Death’, possente apripista alle altre canzoni del platter che riprende il refrain dell’intro ‘Masquerade’.
Poco da dire, e questa è la circostanza più importante, sul fatto che il sound, nel suo complesso, sia sempre potente e carnoso, volto all’aggressione sonora, peraltro resa in maniera perfetta da una produzione altrettanto perfetta.
Il Nostro, però, ama davvero alla follia il ridetto neoclassico, che infila in ogni dove, dando all’album un mood arcano, magico, dai risvolti positivi per quanto riguarda un’anima caleidoscopica, scoppiettante. Lo ama così tanto da dedicare a esso uno splendido, sfavillante brano strumentale (‘Storm of Strings’). Certamente dopo aver ascoltato un siffatto esercizio di virtuosismo di ogni genere, risulta duro pensare al disco come a qualcosa che fluttui nel metal estremo. C’è però da rimarcare che un’altra chitarra si aggiunge a quella di Gonzalez, che è quella di Chase Becker. Assieme, i due estrinsecano una fase ritmica dura, rocciosa, massiccia, tipica delle frange più oltranziste del metallo (‘Darkest of Knights’). Il castello ritmico, appunto, è dotato di membrature solidissime, inamovibili, ben fissate nel terreno. La parte solista, per quello che già si è detto, è abnorme, riempiendo sino all’orlo ciascuna canzone di “Necrophony“.
Ponendo l’attenzione su ‘Test of Time’, il cui ritornello è da hit, ecco che allora sorge l’idea di pensare al symphonic death metal. Tenuto conto che anche in questo caso si tratta di una definizione riduttiva e un po’ imprecisa per raccontare la musica del combo americano. Ma, fra le tutte, quella più in linea con quello che proviene dalle cuffie.
Una volta messo a posto lo stile, non resta che passare in rassegna le tracce. Le quali, purtroppo per il nostro eroe, appaiono vagamente scolastiche, come se la composizione fosse qualcosa studiato a tavolino e non qualcosa che arrivi da dentro. L’irresistibile tendenza di Gonzalez e Becker di prediligere, quasi univocamente e ossessivamente, le note più altre della sei corde (o sette o chissà…), conduce a una sensazione di noia che, sfortunatamente, aumenta a mano a mano che proseguono gli ascolti. Come se il tutto fosse stato progettato per placare la libidine neoclassica del quartetto… libidine che non lascia la presa nemmeno un secondo. E, se si osserva che la durata complessiva del lavoro è di circa cinquantatré minuti, comprese alcune suite (‘Children of the Night’), alla fine dei conti risulta assolutamente complicato riuscire a non essere travolti dalla smisurata montagna di note infilate sino a scoppiare in ogni singolo episodio.
Per questo magro spessore del songwriting, dovuto all’esagerazione di cui si è appena detto, “Necrophony” non può che assestarsi su una sufficienza o poco più. Gli Exmortus sono la bravura esecutiva fatta band, posseggono anche uno stile tutto loro ma, alla lunga, ciò che emerge è il temutissimo tedio, qui presente in dosi non esagerate ma più che necessarie per passare oltre. Oltre ove, come deve, i singoli pezzi non sono a servizio della tecnica ma viceversa.
Daniele “dani66” D’Adamo