Recensione: Necropolis Railway
Secondo capitolo discografico per i Where the Sun Comes Down, che fa seguito a Welcome, il loro debutto del 2017.
Stessa spiaggia e stesso mare anche per questo Necropolis Railway, nel senso che vede la luce ancora per la Minotauro Records e sgorga dalle stesse menti dissonanti del precedente, ossia Thomas Hand Chaste e Alexander Scardavian, due vecchie triglie dell’heavy doom italiano che la sanno lunga.
Il primo (voce, chitarra, basso, tastiere e batteria) che nei Where the Sun Comes Down si occupa anche della musica e delle liriche vanta un curriculum lungo così (Death SS, Paul Chain, Paul Chain Violet Theatre, Witchfield e Sancta Sanctorum) e il secondo (chitarre) non è da meno, avendo dato i natali agli Strange Here e condividendo il proprio percorso artistico con Paul Chain in diverse occasioni.
Necropolis Railway, che fa riferimento alla macabra tratta ferroviaria che collegava Londra con Brookwood, atta al trasferimento di cadaveri dalla capitale britannica alla cittadina del Surrey, posta a una quarantina di chilometri in direzione sud-ovest , per carenza di spazi fisici nei cimiteri, si accompagna a un libretto di dodici pagine con tutti i testi, qualche disegno a tema, un paio di foto volutamente sfocate dei When the Sun Comes Down e le due centrali ad appannaggio di un’immagine rappresentativa del disco, rigorosamente in bianco e nero, con una possente locomotiva a vapore sullo sfondo e in primo piano le lapidi di un camposanto, a opera di Azmeroth “Heretical” Szandor, peraltro autore di tutte le grafiche ricomprese dentro il packaging del prodotto griffato Minotauro.
Il pezzo iniziale, “Mater Tenebrarum” (nulla a che vedere con il cavallo di battaglia dei Necrodeath), è il perfetto preludio per un album dall’alto contenuto cimiteriale quale Necropolis Railway, una composizione ideata da Marco Grosso (fondatore, con altri, della fanzine Holy Legions), con dei brevi inserti vocali da parte di Luna FP che ottiene l’effetto di traslare idealmente il contenuto musicale attraverso delle immagini. A partire da “Wait for the Pain” in poi si inizia fare sul serio a livello di mannaie, grazie alla prova di Scardavian, implacabile boia capace di restituire alla sei corde quel suono fottutamente Doom di marca italica che alberga nelle antiche composizioni di Death SS, Violet Theatre e The Black. A coadiuvarlo adeguatamente Thomas Hand Chaste in veste di oscuro cerimoniere, con un’interpretazione dietro al microfono impeccabile, fra il malato e il salmodiante.
L’agonia prosegue sulle note di “No Sun City” e trova pace (si fa per dire) lungo i sei minuti di “Longway Home”, una canzone affascinante ove l’organo la fa da padrone nell’incipit. La strumentale “Anima” prepara il terreno per la perpetuazione del sabba che riprende incessante attraverso le note della successiva “Heaven Side” per poi approdare a “Schizophrenic II”, il classico pezzo in grado di rimescolare le carte, così come accadde illo tempore fra i solchi di “Evil Metal” dei Death SS. Trattasi di traccia di heavy fucking metal veloce e assassino con alla voce, nella prima parte, un Thomas Hand Chaste invasato e Gilas alla prese con la sezione recitata sul finale. Già, proprio Gilas, personaggio che più oscuro non si può del Doom di casa nostra, un’entità maligna, più che una persona fisica, nonostante l’anagrafe lo annoveri come Sante Scardavi, fratello di Alexander. Calano definitivamente le tenebre su Necropolis Railway per mano della title track, posta in chiusura, ordinaria e nulla più.
Dentro Necropolis Railway si respira la polvere a pieni polmoni. Per quante altre altisonanti uscite provenienti da oltrefrontiera si può affermare la stessa cosa?
Stefano “Steven Rich” Ricetti