Recensione: Nécrovortex
Seconda discesa agli Inferi per i canadesi di lingua francese Outre-Tombe. “Nécrovortex” è il gorgo dannato che prima attrae, poi spinge negli abissi.
Death metal classico, vecchia scuola, che attinge i propri stilemi musicali negli anni ’80 e ’90. Tant’è vero che sin da subito ‘La Crypte’ rende omaggio agli Slayer per via degli intrecci di chitarra che, come ragnatele, definiscono i break rallentati. Non che la song sia particolarmente veloce, svolgendosi difatti mediante mid e up-tempo, tuttavia marcia con riff profondi e asfissianti per penetrare il più possibile la dura materia dell’underground.
Ecco, il riffing, vero pilastro eretto dai due folli cucitori di accordi Désastre e Cobra, capaci di dar luogo a un tappeto ritmico incessante, spesso, malsano, putrido, sul quale lasciar scivolare le biche note dei soli. Ogni song è decisa dall’inventività dei due axe-man, che svolgono il loro lavoro con impressionante continuità, non dando mai l’idea di strafare ma anzi di volare in alto o, meglio, in basso, con genuinità e disinvoltura.
Da elogiare l’uso della lingua francese in luogo di quella inglese, particolarmente adatta a costituire un insieme dinamico che raggruppi con naturalezza linee vocali e musica. Musica ovviamente estrema ma non troppo. La ridetta vicinanza con il death metal old school impedisce al combo quebecchino di lambire BPM esagerati. La forza motrice prodotta dalla sezione ritmica appare semplice ma schietta e capace di donare allo stile dei Nostri quella sensazione di quadratura del cerchio che si ottiene solo e soltanto quando ugola e strumentazione vanno di pari passo (‘Désintégration’).
Un’omogeneità, questa, che rappresenta la miglior peculiarità di “Nécrovortex”, ben piantato su un sound evidentemente insito nelle corde dei nostri cinque loschi figuri. Il platter scorre via senza intoppi, obbedendo in ogni suo segmento a uno stile che non muta al mutare dei segmenti stessi. Certamente la ricerca di originalità non è granché considerata, da Crachat e i suoi compagni, ma si tratta di una circostanza endemica nella vecchia scuola, definibile in tal modo per via di un rigoroso rispetto dei dettami stilistici che la definiscono in maniera inequivocabile.
Inamovibile l’umore che permea il disco, votato a raffigurare caverne tetre e oscure, poste in profondità rispetto alla luce solare, nelle quali convergono decine di cadaveri in putrefazione. Un mood palpabile – altro punto a favore di “Nécrovortex” – , odoroso, visibile, che inserisce l’ascoltatore in un mondo costruito da morte e desolazione (‘Hécatombe II’).
Non male nemmeno le song. Evidentemente obbedienti allo stile-madre della formazione nordamericana ma ciascuna dotata di una propria personalità. Certo, inutile aspettarsi sorprese dopo aver passato la metà del platter, purtuttavia brani come la già citata opener-track o la conclusiva ‘L’Enfer des Tranchées’ si lasciano ascoltare con piacere, dimostrando con ciò la passione che è monte del tutto e che muove ogni cosa.
Solo per appassionati del genere, ovviamente.
Daniele “dani66” D’Adamo