Recensione: Nemesis
Ben prima di essere identificata con come “avversario” o “rivale”, nell’accezione recente della cultura anglosassone, o sempre con il significato negativo di “sventura ineluttabile dopo una serie di eventi positivi”, la dea greca Nemesi era personificazione dell’equa distribuzione della giustizia. Ella giungeva ove regnava lo scompenso, in quanto strumento di giustizia intesa come equilibrio: colpiva e puniva l’impunito, portava gioia all’affranto ma giusto.
Già mostratasi nelle sue nude fattezze nella cover dell’EP “Unbreakable” (gennaio 2013), singolo foriero di un album che di certo avrebbe ulteriormente infiammato l’inizio di questo caldissimo 2013 per il power metal, la dea aleggia ancora nel cielo di una grande metropoli, pronta a portare con sé nuovi, inaspettati equilibri, tra antico e moderno, (neo)classico ed effetti contemporanei. “Nemesis” è il quattordicesimo album per la band finlandese, terza release dalle ormai storiche vicende che hanno visto l’abbandono della band da parte di Timo Tolkki e la conseguente “sfioritura” e scomparsa del giglio neoclassico nel logo degli Stratovarius, palese metafora di un netto cambio di direzione artistica e compositiva rispetto al recente passato.
La dea Nemesi sarà dunque giunta per portare giustizia o sventura ai finlandesi? Abbandoniamoci all’ascolto dell’album per trovare le nostre risposte. Il nostro viaggio inizia proprio con “Abadon”, un brano dal testo fortemente intimo, scritto dall’ormai intramontabile Timo Kotipelto; il pezzo apre con i suoi cori, un riff chiaro fin dalle prime note ed il drumming deciso dell’ultimo arrivato Rolf Pilve, venticinquenne promessa del combo finlandese. C’è spazio anche per un assolo sovrapposto di tastiera e chitarra prima di concludere riprendendo il tema dell’apertura. Il singolo “Unbreakable” apre con il pianoforte di Jens Johansson, storico tastierista della band, subito spezzato dall’ingresso della chitarra di Matias Kupiainen, subentrato al Tolkki ai tempi di “Polaris” (2009). Sullo sfondo la tastiera si alterna ai cori fino al ritornello trascinante. I hold my breath and wait…
“Stand my Ground” è un pezzo atipico, giocato principalmente sulle ritmiche e sugli effetti vocali, richiama alla resistenza fino all’ultimo ed alla strenua difesa di ciò in cui si crede.
Croce e delizia dell’album, almeno a mio modesto avviso, la successiva “Halcyon Days”: di certo il brano più carismatico e rappresentativo di questo “Nemesis”, il cui video è disponibile su youtube. Ci sono i cori, c’è l’apertura pesante di chitarra, il ritornello e catchy ma non banale, ma c’è anche una base… che sembra dubstep! Su questo pezzo probabilmente i puristi Tolkkiani termineranno con insofferenza l’ascolto dell’intero album invocando a gran voce il ritorno dei vecchi Stratovarius neoclassici, ignorando così la volontà della dea Nemesi. Personalmente ho apprezzato molto il tentativo e lo trovo riuscito sotto tutti gli aspetti. Per certi versi questo pezzo mi ha ricordato il progetto elettro-metal Dreamquest del “nostro” Luca Turilli (qualcuno se lo ricorda?), ed al primo ascolto, poco prima dell’ultimo ritornello, mi aspettavo un assolo, non necessariamente neoclassico, per spezzare l’estasi elettronica… ed invece niente. Ma forse anche questo è un elemento, voluto, di rottura rispetto al passato.
“Fantasy” è un altro bel brano, decisamente più classico del precedente, nel segno dell’happy metal e della positività che da sempre la band finlandese sprigiona: buona la strofa, facile ed immediato il ritornello. Curiosità: è l’unico brano interamente scritto (testo e musica) dal bassista Lauri Porra.
Aumento esponenziale della complessità e della tragicità: “Out of the Fog” è un’ordine imperativo sul campo di battaglia a non voltarsi indietro e ad uscire dalla bruma, dopo il segnale d’attacco, verso l’ultimo sacrificio. Qui il riff è serrato, l’epicità divampa assieme ad una buona interpretazione di Timo Kotipelto. Interessante l’assolo e l’intermezzo di tastiera. Il brano è stato scritto in collaborazione con Jani Liimatainen, ex chitarrista dei Sonata Arctica che ricordiamo per il recente tour acustico in duo con Kotipelto, culminato nella pubblicazione dell’album “Blackoustic” (2012). Anche “Castles in the air” e “Dragons”, entrambe scritte e musicate da Johansson, si mantengono su sonorità più classiche, la prima più prog, con una serie di assoli incrociati nella parte centrale un po’ più lunga ed atta a valorizzare l’ottimo lavoro di tutta la squadra, coesa come non mai, la seconda più power e tagliente, forse un po’ ripetitivo il ritornello. “One Must Fall” è un mid tempo di buona qualità, anche se forse non eccelso, con un solo di tastiera di nuovo molto particolare ed un’improvvisa decelerazione prima dell’ultimo ritornello.
La ballad “If the Story is Over” vede di nuovo la presenza, stavolta da protagonista, del già citato Jani Liimatainen. È infatti sua, oltre che la stesura del brano, l’apertura di chitarra acustica, al solito molto ispirata, profonda e decisamente triste.
Chiude l’ascolto la doverosa title-track, “Nemesis”, in cui la dea della giustizia compare nella sua bivalenza di angelo e demone, nel suo grande potere che libera dal dolore con la forza del fulmine. Qui Kotipelto spinge al massimo le suo doti vocali, i cori innalzano verso il cielo manifestando infine l’immagine di caos e potere che già si poteva scorgere nella cover dell’album. Una chiusura che rende, neanche a dirlo, giustizia all’intero ascolto, donando all’album una più che notevole conclusione.
Da non ignorare le due bonus track, Fireborn ed Hunter, da considerare come ben più che un semplice riempitivo: due piccole perle (opzionali) che sapranno indubbiamente ricompensare i fan più insaziabili.
Volendo mettercela tutta per frenare l’entusiasmo, possiamo anche ammettere che quest’album probabilmente non passerà alla storia come un certo Visions (1997). Ma non potendo neppure guardare perennemente al passato, vanno ricusati gli atteggiamenti nostalgici che vedono gli Stratovarius come la band di Tolkki – che nel frattempo ha ripiantato il suo giglio nei Revolution Renaissance, nei Symphonia e si appresta ad uscire con una Metal Opera dal titolo “The Land of New Hope”, che tutti attendiamo con grande curiosità.
Ma questi sono, che la cosa piaccia o meno, i nuovi Stratovarius: tanti effetti di tastiera al limite di altri generi, meno cavalcate in doppia cassa e ricercate parti strumentali, tanta immediatezza ed energia; una band carica di personalità, di idee e di voglia di stupire il proprio pubblico, in studio e dal vivo – il 10 aprile saranno a Milano. La voglia di cambiare è nell’aria (“There’s something in the air”, direbbe qualcuno), ed in un genere spesso accusato di essere ripetitivo e povero di idee come questo, andrebbe riconosciuto alla band il coraggio di aver cercato sentieri ancora non battuti.
La dea Nemesi ha reso giustizia e riportato equilibrio ed armonia attraverso la distruzione ed il superamento di vecchi schemi: questa la sua volontà, questo il suo vero potere. This power. My power… metal!!
Luca “Montsteen” Montini