Recensione: Neuthrone
I Crionics, band polacca formatasi nel 1997 in Polonia grazie a War-A.N – vocals & guitars, Yanuary – guitars, Marcotic – bass, e Carol – drums, durante la loro decennale carriera, improntata sulla produzione di un feroce e violentissimo Symphonic Black Metal, hanno subìto numerosi cambi di line-up ed anche di stile, sino ad arrivare, per la stesura di Neuthrone (2007, Candlelight Records, prodotto dai Crionics stessi), alla seguente formazione: War-A.N – vocal & guitars, Yannuary – bass, Vac-V – synthesizers e Darkside – drums.
Il platter presenta subito un brevissimo brano strumentale, Introduction, che pur nella sua semplicità, fa subito intravedere il deciso cambio di direzione musicale che ha intrapreso l’act polacco dopo Armageddon’s Evolution (2005, Candlelight Records), dove lo stile era un Symphonic Black Metal di ottima fattura. L’intro è solo una breve campionatura di suoni e voce, dal tono cupo, tetro, oscuro, ma soprattutto gelido. Ecco, questa sensazione di freddo, deliberatamente voluta dal gruppo in sede di songwriting – come si può evincere anche dai titoli delle canzoni – accompagnerà l’album durante tutto il suo cammino, dalla prima, all’ultima canzone, a far da sottofondo alla furia tipica del Crionics-sound.
Immediatamente dopo l’introduzione, New Pantheon svela subito – anche in questo caso – le carte della nuova direzione che il gruppo ha deciso di intraprendere: l’abbandono del Black Metal, per un’immersione totale in un feroce, aggressivo, potentissimo e velocissimo Death Metal; che però continua a possedere, fatto encomiabile per via dell’originalità che ne deriva, un robusto sottofondo di synthesizers che conduce a rendere il Death stesso profondo e d’atmosfera, fatto, questo, molto raro, nell’attuale panorama musicale del genere. Il pezzo aggredisce brutalmente l’ascoltatore con una veemenza tipica del Death-sound: chitarre dal suono iper-compresso, dai riff chiari, nitidi, poderosi; sezione ritmica d’assalto, con sequenze varie e ripetute di blast-beats e 4/4 in doppia cassa hyper-fast, synthesizers a far da tappeto musicale e da completamento al sound stesso (e qui sta la peculiare originalità del groove-Crionics). La voce presenta lunghi attimi di cleaning, ed il growling – mai esasperato – lascia volentieri spazio ad uno screaming di derivazione Thrash. Si nota anche una notevole evoluzione tecnica degli strumentisti rispetto al lavoro precedente, frutto presumibilmente di un gran lavoro in sala d’incisione, tale da rendere il Death proposto assai tecnico, in taluni passaggi.
Si prosegue con la forsennata, ma ordinata, Arrival 2003, ove i synthesizers chiudono l’atmosfera claustrofobica generata dalle parti ritmiche, mai uguali e monotone, ma anzi varie ed articolate. Si può rilevare anche un certo rallentamento generale della macchina-Crionics, rispetto ad alcune canzoni hyper-speed del passato. Tutto appare più ragionato e meditato, in sostanza. Neu.Throne.Aeon catapulta l’ascoltatore all’interno di un incubo gelido e senza speranza, ove si mescolano potenza, ordine e totale annichilazione, in uno scenario apocalittico, glaciale, dove pare non ci sia spazio per l’uomo, ma solo per le macchine (niente a che vedere, però, con l’Industrial). Con Superiors, dall’intro addirittura Thrash, il gruppo continua la sua lunga cavalcata nelle tormentate lande di un ipotetico mondo futuro ricoperto da perenni glaciazioni. I toni sono secchi, sia la ritmica che i riff di chitarra hanno una precisione da metronomo, i synthesizers aggiungono freddi rumori e suoni all’insieme, che per questo raggiunge vette di alta originalità e visionarietà. Nemmeno il tempo di prendere fiato ed Hell Earth, quinta canzone del platter, parte come una furia scatenata mediante una serie di violentissimi blast-beats, inframmezzati da riuscitissimi intarsi di synthesizers, per arrivare ad una parte centrale molto dinamica e ricca di voci (filtrate) cantilenanti. Ai massimi livelli la potenza raggiunta, grazie ad una sezione ritmica, sostenuta da Yannuary e Darkside, che non perde mai un colpo, nemmeno nelle fasi più concitate e complesse dei brani.
Humanmeat Cargo inizia invece con un terrificante mid-tempo poderoso e massiccio, per scattare immediatamente verso altissime punte di velocità, su cui vola il cantato di War-A.N, sostenuto anche dal continuo lavoro di Vac-V ai synthesizers. Ricompare per un attimo un accenno melodico; melodia che durante l’album ha pochissime occasioni per manifestarsi, come invece avveniva spesso e volentieri negli album passati. Nonostante ciò, il groove del platter è assai affascinante e fantasioso a seguito della sinergia perfetta fra l’uso massiccio del synthesizer e dalla furia devastante prodotta dalla sezione ritmica, unitamente al lavoro durissimo e potentissimo delle chitarre. Con Outher Empire, si respirano, all’inizio, ampie atmosfere arcane che evocano spazi gelidi e sconfinati. Tuttavia esse vengono subito spazzate via dalla terribile potenza del sound generato dal gruppo che, dopo un’introduzione a doppia cassa, si lancia verso punte di velocità quasi parossistiche, sottolineate dal cantato isterico di War-A.N. Poi il pezzo prosegue senza pietà, senza alcuna soluzione di continuità, ma con continui cambi di tempo e di tonalità, senza però perdere mai la ordine, pulizia, chiarezza generale e monoliticità dell’insieme. L’ottavo brano dell’album è Frozen Hope, ove, come si intuisce dal titolo – dopo un raggelante intro di tastiere – il gruppo parte con uno stupendo ed armonico (!) mid-tempo dall’incedere maestoso e possente. Poi, le chitarre inanellano una serie di riff pesantissimi, su cui si districa il cantato cattivo, sofferto e senza speranza di War-A.N; cantato quasi clean e solo accennato come timbrica growl. E’ il pezzo meno veloce dell’album, che dona una sensazione di oppressione quasi palpabile, per un mondo in corsa verso la sua ultima glaciazione. L’album si chiude con When The Sun Goes Out…, altro pezzo con partenza in mid-tempo (ma definirlo mid-tempo secondo i classici dittami del termine è un eufemismo…), per poi scatenarsi in una strofa hyper-speed e quindi rallentare nuovamente per il pre-chorus e chorus, dove la potenza raggiunta dal sound è massima, oppressiva, dalla quale non ci si riesce metaforicamente a liberare. Poi, nell’oramai classico stile del gruppo, riprendono le spaventose accelerazioni e susseguenti, violente decelerazioni, con continui cambi di tempo ed intrusioni pesanti di parti di synthesizers e voci sintetiche.
Alla fine dell’album si rimane senza fiato, tale è la potenza che, con grandissimo ordine e perfetta regolarità viene sprigionata – anche e soprattutto durante i momenti di folle velocità – dal sound del gruppo polacco. L’abbandono del Black sinfonico, a parere di chi scrive, ha consentito al gruppo di scrivere un platter di indubbia originalità in virtù dell’uso massiccio, ma mai sopra le righe, dei synthesizers, indispensabili a dar vita ad un groove unico, personale ed originale.
La forte componente tecnica e la produzione professionalmente ineccepibile, sono armi che portano Neuthrone, assieme allo spessore artistico del lavoro, ed alla classe che si può riscontrare nel songwrinting, sempre vario e mai monotono, ai massimi livelli del Death europeo se non mondiale, ben lontano, comunque, dall’underground in cui sin’ora ha navigato, immeritatamente, l’act polacco.
Daniele D’Adamo
Tracklist:
0 – Introduction
1 – New Pantheon
2 – Arrival 2003
3 – Neu.Throne.Aeon
4 – Superiors
5 – Hell Earth
6 – Humanmeat Cargo
7 – Outer Empire
8 – Forzen Hope
9 – When The Sun Goes Out…
(+ bonus track: Black Warriors)