Recensione: Never Say Never
“Never say Never”…mai dire mai…
Un titolo che in pratica è un pezzo di biografia per gli sconosciuti Arkado, band che si materializza dal nulla in epoca di pandemia e, complice una copertina dal vago sapore profetico, riesce a catturare la nostra curiosità.
Sconosciuti ma non certo neofiti: le cronache ci parlano, infatti, di un primo nucleo del gruppo la cui fondazione è da far risalire addirittura al 1983, anno in cui presso la piccola cittadina di Ödåkra (nel tempo diventata poi un sobborgo di Helsingborg), una combriccola di imberbi musicisti mise insieme una band chiamata BB2, acronimo di Better Be Together.
Un solo 45 giri in vinile l’esigua produzione in carriera, il cui pezzo portante venne comunque scelto (mantenendosi peraltro sino ad oggi) quale inno ufficiale della locale rappresentativa di calcio.
Dopodiché buio e silenzio: durato come il proverbiale “spazio d’un mattino”, il progetto BB2 è scomparso ben presto dalle scene, rimanendo un patrimonio custodito esclusivamente dagli abitanti della zona.
Tuttavia, proprio come diceva il buon James Bond (guarda caso, esattamente nel 1983), “Mai dire mai“.
Riunitisi quasi per gioco eoni dopo, e sull’onda di un solo concerto imprevedibilmente andato sold out in quel di Helsingborg, il gruppo ha potuto avere una seconda chance a distanza di tantissimo tempo, registrando un debut album che, considerata la vicenda, avrebbe potuto essere intitolato con un altrettanto significativo “meglio tardi che mai”.
Storia singolare che si arricchisce di un ulteriore aneddoto insolito riferito al moniker scelto per questa seconda vita artistica. Arkado non è, in effetti, ne l’appellativo di una qualche bizzarra divinità vichinga, ne un termine riferito a qualche ignoto linguaggio nordico. Neppure un ipotetico riferimento all’Arcadia ellenica o al mitologico Arcade. Molto più prosaicamente, è il nome della città d’origine dei musicisti scritto al contrario.
Quando si dice fantasia…
Colorite note biografiche a parte, due dati certi aiutano ad identificare con sicura immediatezza l’area stilistica attorno cui ruotano gli Arkado.
La terra d’origine come detto, è la Svezia. La label di appoggio è la conosciutissima AOR Heaven.
Senza nemmeno ascoltare una nota, avremmo potuto scommettere, con ragionevole presunzione di vittoria, su di uno stile radicato nel classico AOR scandinavo. Per gli “amici” ed i frequentatori (i pochi rimasti almeno) di roba melodica, il tanto caro “Scandi Aor”.
Piace vincere facile: i paragoni che si affastellano ascoltando “Never say Never” vanno a solleticare alcuni ottimi esponenti del settore. Jim Jidhed e gli Alien, Street Talk, Roulette, Radioactive e Bad Habit hanno di certo contribuito in qualche misura alla costruzione del sound in forza agli Arkado, marchiato a fuoco da una costante ricerca per la melodia e dalla presenza – talora pure un po’ ingombrante – di tastiere declinate verso il cosiddetto Hi-tech AOR.
Le pennellate di eleganza fascinosa e buon gusto ascrivibili agli irraggiungibili Toto, completano in scioltezza la panoramica descrittiva.
Il disco, al netto di tecnicismi e definizioni astruse, scorre davvero molto bene, ponendo in evidenza un’insospettabile padronanza della materia e qualità superiore nell’interpretarla. I brani offrono l’impressione d’essere costruiti con romantica attenzione da mani esperte e si fanno apprezzare per la ricchezza di particolari. Dalla presenza di armonie accattivanti ed immediate, a suoni spesso efficaci e di buon livello.
Aspetto categoricamente imprescindibile per il genere, è inoltre la facilità con cui l’album è fruibile e mantiene freschezza anche dopo un certo numero di passaggi, pur piacendo dopo poche note.
Un indizio evidente ad indicare come l’operazione di ritorno in scena si sia risolta con buon successo ed imponga, senza esitazioni, un proseguimento dell’avventura.
Non è più epoca di grandi palcoscenici per band e dischi di questo tipo: la destinazione è ormai sempre più quella del sottobosco musicale riservato ad uno sparuto numero di inossidabili appassionati.
Fa tuttavia piacere scoprire, di tanto in tanto, qualche novità di vivo interesse anche al di fuori dei grandi circuiti discografici. Piccole realtà seminascoste che, come gli Arkado, possono fornire un po’ di nuova linfa ad un genere limitato nei numeri di vendita eppure mai completamente sopito come l’AOR.
Nostalgici, vintage, ingenui, fuori dal tempo: non importa.
A noi, sinceramente, va davvero benissimo così.