Recensione: Never To Play The Servants
Disco d’esordio sotto le insegne della attiva Dockyard 1 per questo quintetto statunitense, che vede al suo interno nomi di un certo spessore del panorama thrash a stelle e strisce, come quel Curran Murphy, axeman già nei Nevermore e negli Annihilator, il quale riunisce sotto il monicker Shatter Messiah il talentuoso batterista Robert Falzano (Annihilator), il versatile vocalist Greg Wagner (Breaker, Archetype) e gli ottimi gregari Dusty Holst alla seconda chitarra e Ron Boisvert al basso.
Da questi brevi cenni biografici è facile intuire quale possa essere la proposta musicale presentata dai nostri: thrash metal grezzo e aggressivo contaminato da influenze gothic power, il tutto arricchito da decise derive metalcore che rendono il CD particolarmente ricco e sostanzioso senza peraltro risultare indigesto. Pregevole è la prestazione del singer, il quale alterna con maestria linee vocali più melodiche e pulite a cantati in growl al limite dello screaming. Ottimo inoltre il lavoro alle asce, le quali delineano un’ossatura corposa fatta di riffing grezzo e gelido ma opportunamente vario, grazie a partiture a tratti più ricercate e melodiche. La sezione ritmica infine è esente da critiche, sempre tiratissima e pesante come da manuale thrash.
Di carne al fuoco, dunque, ve n’è tanta, e per poter apprezzare appieno questo lavoro è raccomandato un ascolto prolungato ed attento, onde evitare di correre il rischio di restare spiazzati di fronte ad un act così complesso. Dal punto di vista esecutivo ogni membro offre una prestazione impeccabile, d’altronde l’esperienza che ognuno di loro ha maturato è garanzia di qualità indiscutibili. Quello che manca per fare il classico botto è l’originalità, essendo il sound degli Shatter Messiah derivativo e fortemente debitore ai gruppi dei quali i singoli membri hanno fatto parte.
Tra gli episodi da evidenziare citiamo l’opener Never to Play, rocciosa ed energica nel suo incedere maestoso e ultradiretto, impreziosito da pregevoli assolo della lead guitar e da un cantato rabbioso e dinamico. Fratility, col suo riffone monolitico della durata di quasi un minuto, apprezzabile omaggio ai periodi d’oro del thrash statunitense, quello degli Annihilator per intenderci. La velocissima e violenta Inflicted, nella quale il buon Curran Murphy sprigiona tutta la sua tecnica svelandoci le potenzialità della sua sei corde. La più cadenzata Drinking Joy, quasi una semi ballad che mantiene comunque una sua connotazione heavy, nella quale la voce pulita di Greg Wagner è accompagnata da una seconda voce che rende l’atmosfera molto evocativa. La successiva Bad Blood che esordisce con un riff serrato e incessante, particolarmente catchy grazie ad intrecci di basso messi in risalto da una produzione ineccepibile.
Questo debutto denota capacità esecutive di ottimo livello, una produzione accurata che esalta la potenza sprigionata dalla band, un songwriting complesso nelle sue molteplici sfumature ma ben amalgamato. Probabilmente da una band di tale caratura ci si sarebbe aspettato qualcosa in più in fatto di originalità e di coraggio, un tentativo più deciso nella ricerca di una propria identità musicale senza doversi necessariamente genuflettere alle band simbolo che hanno fatto la storia del genere.
Leonardo Arci
Tracklist:
1. Never to Play
2. Crucify Freedom
3. Fratility
4. Hatred Devine
5. Fear to Succeed
6. All Sainted Sinners
7. Inflicted
8. Drinking Joy
9. Bad Blood
10. Blasphemy Feeder
11. Deny God
12. Disillusion
13. Bleed to Shadows
14. New Kleen Killing Machine